La NORMA di Vincenzo BELLINI tra PASTA & VINO
< Casta Diva, che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante,
Senza nube e senza vel >
(Norma, preghiera, Atto I)
NORMA - opera in due atti di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia Norma, ou L'infanticide di Louis-Alexandre Soumet (1786-1845).
Composta in meno di tre mesi, nel 1831, fu data in prima assoluta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno, inaugurando la stagione di Carnevale e Quaresima 1832.
Quella sera l'opera, destinata a diventare la più popolare tra le dieci composte da BELLINI, andò incontro a un FIASCO clamoroso, sia per l'esecuzione, sia per la presenza di una claque avversa a Bellini e alla primadonna, il soprano Giuditta PASTA. Non solo, ma l' inconsueta severità della drammaturgia e l'assenza del momento più sontuoso, il concertato che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti, spiazzò il pubblico milanese.
Il soggetto è ambientato nelle Gallie al tempo dell'antica Roma, e presenta espliciti legami con il mito di Medea.
Medea (1866-1868), opera di Anthony Frederick Augustus Sandys.
Fedele a questa idea di classica sobrietà, BELLINI adottò per NORMA una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di accompagnamento della voce.
2016 - Grande evento a Venezia per gli amanti sia della lirica che dell’arte contemporanea. Al Teatro alla Fenice arriva infatti la NORMA di Vincenzo BELLINI nella messa in scena firmata per regia, scene e costumi dall’artista americana Kara WALKER, con la direzione musicale di Daniele Callegari e Mariella DEVIA nel ruolo della protagonista: soprano dal dominio tecnico prodigioso e dalla splendida musicalità.
La Norma di Bellini secondo Kara Walker (foto Daniele Crosera)
Kara WALKER si confronta con originalità e passione con le intense suggestioni dell’opera belliniana: la lacerazione di NORMA, divisa tra il suo ruolo di sacerdotessa e l’amore tradito per il nemico Pollione, la speranza infranta di riuscire a comporre un’identità minata da un ineludibile rapporto di subordinazione, il tentativo di infanticidio e infine il suicidio come sola via d’uscita da un conflitto identitario insostenibile.
< Chista è ‘na vera Norma! >
PASTA ALLA NORMA Patrimonio dell’Umanità Unesco : il sogno di CATANIA
La PASTA ALLA NORMA, diffusa ormai in tutta la Sicilia, nasce strettamente legata alla città di CATANIA. Il nome venne coniato dallo scrittore e poeta Nino MARTOGLIO che di fronte ai maccheroni – efficace sintesi dell’anima mediterranea - avrebbe esclamato: < È una vera Norma > , per dire che erano sublimi proprio come l’opera di Vincenzo BELLINI, compositore catanese. Erano infatti i giorni dell’inaugurazione del più importante teatro della città, dedicato peraltro al maestro, che apriva ufficialmente al pubblico proprio con la rappresentazione della NORMA nel 1890.
Un’altra storia dell’origine del piatto, l'addebita direttamente a Vincenzo Bellini che l’avrebbe creata cucinando insieme a un suo amico cuoco siciliano a Milano, usando
maccheroni, pomodoro, melanzane fritte, basilico e una generosa
dose di ricotta salata.
Come per molti piatti delle tradizioni regionali, anche se basati su pochi e semplici ingredienti, si creano sempre delle piccole dispute.
Una sul taglio delle “mulinciane” – MELANZANE fritte: alla catanese dovrebbero essere a fettine sottili ma si sono affermati anche i tocchetti.
Poi sulla PASTA: dovrebbero essere i tipici maccheroni, che riescono a trattenere il sugo e hanno le dimensioni giuste per i pezzi di melanzane, ma anche altri formati corti come le mezze maniche e le penne; meno graditi dai tradizionalisti i formati lunghi, a eccezione nel trapanese della busiate, una sorta di larghi fusilli.
Ancora maggiori le variazioni sul tema FORMAGGIO: la ricotta salata è l’unica ammessa nella versione catanese, ma in altre aree si trova anche ricotta infornata, ragusano, pecorino.
Cantine BOSCA - Le Cattedrali Sotterranee, patrimonio UNESCO a CANELLI
Installazione La Piramide dei Sogni di Eugenio GUGLIELMINETTI abbinata all’aria Casta Diva dalla NORMA di BELLINI, andata in scena per la prima volta proprio nel 1831 – anno di fondazione delle CANTINE BOSCA.
Sono quattro le Cattedrali Sotterranee storiche di CANELLI, facenti capo a blasonate famiglie dei grandi vini del Piemonte – Bosca, Contratto, Coppo, Gancia. Di norma aperte a turno, sono visitabili gratuitamente.
Scavate direttamente nel tufo delle colline tra il XVI ed il XIX secolo, le Cattedrali sono cavità di luce, di ombra, di silenzio sacrale, di pareti di mattoni a vista, di volte maestose, di profumi, di lavoro operoso, di arte del fare ma anche di arte tout court, di musica, di teatro, di incontri.
E sono talmente uniche al mondo che nel 2014 l’UNESCO ha dichiarato le Cattedrali
Sotterranee “Patrimonio Mondiale dell’Umanità” nel 50° sito italiano,
“I paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe, Roero e Monferrato”.
Gabriele D’ANNUNZIO omaggia il PARROZZO d’ABRUZZO
Dolce dalla forma semisferica a base di mandorle e semolino, ricoperto di cioccolato fondente, tanto buono da entrare nei versi del celebre poeta D’Annunzio, il Parrozzo regna sulle tavole abruzzesi imbandite a festa per il Natale.
La storia di questo prelibato dolce affonda le sue radici nelle tradizioni contadine e in uno dei cibi più semplici, il PANE.
Non potendo permettersi la farina di grano destinata alle persone abbienti, per prepararlo i contadini abruzzesi utilizzavano la farina di granturco. Ed è proprio da questo pane rustico dalla forma semisferica e dal colore giallo intenso, cotto nel forno a legna e comunemente chiamato “PANE ROZZO”, che deriva il PARROZZO, così come il suo stesso nome.
L’idea di farne una trasposizione dolciaria fu di Luigi D’AMICO, appartenente a una celebre famiglia di commercianti pescaresi. Mantenendo inalterata la forma semisferica, sostituì il granturco con le uova per riprodurre il colore giallo tipico del pane e adoperò una copertura di finissimo cioccolato per richiamare lo scuro delle bruciacchiature caratteristiche della cottura nel forno a legna. Ed è così che negli anni ’20, a PESCARA, nasce il PARROZZO.
Gabriele D'ANNUNZIO celebrò con questi versi il PARROZZO di Luigi D'AMICO.
Il 24 luglio 1927, D’AMICO aprì a Pescara, poco distante dalla casa natale di Gabriele D'Annunzio, un locale che chiamò il Ritrovo del Parrozzo. Per il taglio del nastro, D'Amico aveva preparato due album destinati a ospitare le firme degli ospiti illustri del locale, che chiamò Visitor's book e Albo d'oro.
Quattro giorni prima dell'inaugurazione, l'Albo d'Oro fu portato a Gardone dal Vate perché vi lasciasse una sua testimonianza. In una lettera di accompagnamento dell'Albo d'oro, Luigi D'Amico scriveva a D'Annunzio: «Spero non mi troverete troppo pretenzioso se amassi aver Voi Comandante ne la prima pagina. Dopo di Voi ho già da tempo una lusinghiera fotografia di S.E. Mussolini con dedica; appresso verranno tutte le prime personalità d'Italia».
Così il 21 luglio 1927, per celebrare il dolce del suo amico, lo scrittore pescarese scrisse: “ <Colui che ha abitazione in cielo, è visitatore e adiutore di quello luoco> dice l'Antico. <Colui che abitazione ha nel ritrovo del Parrozzo, è visitatore e perdutissimo goditore di quello parrozzo> dico io Gabriele d'Annunzio». E ancora: “Dice Dante che là da Tagliacozzo, ove senz’ arme vinse il vecchio Alardo, Curradino avrìe vinto quel leccardo se abbuto avessi usbergo di parrozzo”. Firmato: Gabriele d'ANNUNZIO parrozzàno.
Canestra di frutta – CARAVAGGIO
CARAVAGGIO (1571-1610), il grande maestro della pittura del XVII secolo, sosteneva il principio secondo il quale un artista deve saper imitare bene ogni soggetto naturale, che «tanta manifattura gli è a fare un quadro buono di fiori come di figure». Uomini e oggetti, e dunque tutti i generi pittorici, avevano pari dignità ai suoi occhi. L’artista eseguì varie NATURE MORTE come soggetto autonomo; tuttavia, la critica è riuscita ad attribuirgli con certezza solo la Canestra di frutta conservata nella Pinacoteca dell’Ambrosiana di MILANO.
Quest’opera, realizzata nel 1599 (secondo alcuni, un paio d’anni prima), spicca come capolavoro ineguagliabile. Nel descriverla, il suo primo proprietario, il cardinale Federico BORROMEO, grande estimatore del genere, raccontò che aveva cercato un pittore cui commissionarne una seconda, senza trovare alcun artista che potesse raggiungere quella stessa «bellezza e incomparabile eccellenza».
Caravaggio, Canestra di frutta, 1599. Particolare.
Ad un primo approccio, l’occhio dello spettatore si perde nei dettagli, in una verifica meticolosa e ammirata della loro aderenza al “vero”. Ogni frutto è riprodotto con fedeltà assoluta: i chicchi d’UVA hanno la loro caratteristica patina opaca, i FICHI mostrano una buccia vivida e rugosa, la MELA, sebbene già bacata, presenta una superficie lucida e compatta. Alcune foglie sono turgide, altre avvizzite.
Caravaggio, Canestra di frutta, 1599. Particolare.
Anche la composizione contribuisce a farne un capolavoro assoluto nel suo genere: con uno sguardo d’insieme, coglieremo facilmente la vigorosa plasticità di tutta l’immagine, che l’artista ha voluto rendere ancora più vera, utilizzando uno sfondo uniforme e facendo sporgere appena il canestro dalla superficie del tavolo, in modo da lasciargli proiettare un’ombra; sicché l’osservatore percepisce il suo spazio invaso e ha come la sensazione che il cestino gli stia cadendo addosso.
È possibile cogliere in questa immagine un significato allegorico. Il tema affrontato da Caravaggio sarebbe quello del memento mori, cioè dell’esortazione a ricordare che tutto passa e che la morte incombe: come denunciano la mela bacata e la foglia avvizzita, infatti, la vita si corrompe in fretta e il tempo, fatalmente, la consumerà.
Martin PARR: il fotografo della società dei consumi
CIBO SPAZZATURA
REAL FOOD – Il libro fotografico di Martin PARR colleziona oltre 200 immagini di CIBO VISTOSO dal mondo raccolte in 25 anni .
Sul tema di EXPO MILANO 2015 : “Nutrire il Pianeta. Energia per la
Vita” due grandi mostre dedicate al CIBO nell’ANTICHITA’ :
ASTI - Palazzo MAZZETTI
“Alle origini del gusto. Il Cibo a Pompei e nell’Italia antica”
Rif. articolo ALLE ORIGINI DEL GUSTO nella sez. Cibo e Arte
MILANO – Palazzo REALE
“Natura, mito e paesaggio dalla Magna Grecia a Pompei”
a cura di Università di Milano, Università di Salerno, Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia.
IL CIBO dell’antica POMPEI
Natura morta con fruttiera di vetro e vasi, Casa di Julia Felix, POMPEI
La mostra milanese ha esposto – fra le altre meraviglie provenienti da un Sud rappresentato nella vita quotidiana di due millenni fa - testimonianze del cibo abitualmente consumato dai pompeiani e straordinariamente conservatosi sotto l’azione dell’eruzione vulcanica del 79 d.C. che ha sepolto la città, immobilizzandola nel tempo.
E allora ecco noci, fichi, bucce e semi di melagrane, semi di grano,
farro e miglio, legumi come favino e veccia, quest’ultimo utilizzato
per un pane dall’impasto misto, solo per citare alcuni alimenti.
A seconda del materiale in cui si sono conservati, li riconosceremo apparentemente freschi oppure carbonizzati: che siano stati coperti dalla cenere incandescente o sepolti dal fango, essi sono giunti fino a noi dopo 2000 anni per offrirci uno spaccato di vita quotidiana in cui, per molti versi, possiamo ancora riconoscerci e davanti alle cui testimonianze non mancheremo di emozionarci. A custodire questi reperti con attenzione e a studiarli con scrupolo scientifico è il team del Laboratorio di ricerche applicate della Soprintendenza Archeologica di Pompei.
Affresco con scena di BANCHETTO
Particolare di affresco pompeiano con pianta e frutti di MELOGRANO
Forma intera di PANE carbonizzato, da Pompei. E' la classica forma di pane in otto sezioni
Particolare di affresco pompeiano con FICHI e PANE
Alimenti CARBONIZZATI, da POMPEI :
FICHI UVA passita
Spicchi di AGLIO Semi di GRANO
OLIVE carbonizzate, da Pompei
NOCI perfettamente conservate
Mosaico con PESCI
Particolare di affresco pompeiano con CONIGLIO e FICHI, da Pompei
UOVA carbonizzate, da Pompei
Affresco pompeiano con UOVA, TORDI, tovaglioli, e vasi, dalla Casa di Julia Felix
2018 - ANNO del CIBO ITALIANO istituito dal MiBAC con il MiPAAFT.
In questa cornice, il MArRC - Museo Archeologico nazionale di REGGIO CALABRIA – ha organizzato variegate iniziative, tra cui due esposizioni dedicate al cibo in età romana e alle pratiche alimentari nella Calabria protostorica.
“IL CIBO DEGLI DEI. Rituali e offerte nei santuari della Calabria
greca” – terza esposizione 2018-2019 curata dal direttore Carmelo Malacrino con la
funzionaria archeologa Daniela Costanzo.
Attraverso il percorso tracciato da quasi un centinaio di reperti si potranno conoscere le usanze rituali in MAGNA GRECIA, che comprendevano l’ OFFERTA DI CIBO ALLE DIVINITA’ e oggetti utilizzati per il culto.
Le offerte potevano consistere nel sacrificio di animali, ed essere
quindi cruente, oppure in prodotti della natura, come cereali,
frutta, focacce, bevande.
Le occasioni per queste pratiche erano le più varie: potevano avere lo scopo di ringraziare le divinità per il successo del raccolto o di una guerra, oppure per propiziare la fortuna in un viaggio o in un’impresa, o anche per espiare un’offesa arrecata agli dei.
Alimentazione in MAGNA GRECIA
E’ noto che fra le motivazioni principali della colonizzazione della Magna Grecia da parte dei Greci ci fu il reperimento di terre fertili che scarseggiavano nell’Ellade; pertanto l’economia delle poleis magno greche era basata principalmente sulla produzione agricola che caratterizzò anche l’alimentazione di questa regione.
La grande diffusione dei culti agrari come quelli di Demetra e Kore, di Atena e Dioniso, confermano l’importanza dell’agricoltura ed in particolare della coltivazione del GRANO, dell’OLIVO e della VITE.
VINO & OLIO sono proprio i prodotti dell’antichità a cui sono legati il
nome ed il concetto di Magna Grecia; Italìa o Enòtria (da oinos, vino) era
denominata la zona a sud di Metaponto, considerata dai Greci terra eccellente per la produzione del vino; e se la viticoltura fu importata con i primi insediamenti coloniali, è stato dimostrato che la coltura dell’ulivo introdotta in Magna Grecia dai Calcidesi d’Occidente, fu successiva di almeno un secolo all’arrivo delle popolazioni greche.
Diffuse in tutta la Magna Grecia sono alcune terracotte votive configurate a forma di GRAPPOLO d’UVA , trovate nelle necropoli campane e lucane e nei santuari di Policoro, Rossano e Locri.
Importanti, per la ricostruzione del paesaggio agrario magno greco sono
alcune fonti epigrafiche note col nome di “Tavole di Eraclea”.
La zona coltivata, divisa in piccole proprietà, si estendeva dalla pianura alla costa o alle rive dei fiumi a fondovalle. Le coltivazioni documentate sono i CEREALI, tra cui l’ ORZO fa da padrone (il fitto dei terreni di proprietà dei santuari era pagato infatti con tale prodotto); la VITE e l’OLIVO sono le coltivazioni più redditizie; boschi e querceti sono risorsa fondamentale per l’economia, come pure l’ allevamento del BESTIAME e i caseifici nella zona collinare.
Tra i testi di autori che hanno trattato degli alimenti e del modo di cucinarli il più importante, purtroppo andato perso, è la Gastronomia di Archestrato di Gela.
Apprendiamo dagli scrittori antichi che i popoli italioti al contrario dei Greci erano noti per la loro opulenza, tanto che a Taranto e Crotone erano rinomati alcuni specialisti esperti in DIETE, che dettavano le norme igieniche per la scelta e la qualità dei cibi; ad esempio si tramandano alcuni precetti di Herakleidas di Taranto sulla digeribilità di alcuni cibi e sugli effetti afrodisiaci di altri. Altrettanto noti erano i CUOCHI magno greci, che spesso gareggiavano tra loro, scrivevano trattati di arte culinaria ed erano tenuti in gran conto nella scala sociale della polis.
CEREALI VERDURE FRUTTA i cibi più diffusi
Le CARNI, scarsamente diffuse per il pasto quotidiano, venivano
utilizzate soprattutto durante le cerimonie religiose ed erano riservate agli
EROI.
Già in età arcaica è documentato il consumo di maiali, montoni, capre e tori, mentre quello dei cavalli e degli asini risale ad epoca più recente.
Per il CULTO DEGLI DEI i Greci offrivano animali domestici sacrificati sugli altari nelle aree sacre e quindi consumati dopo la cottura.
I sacrifici agli Dei si svolgevano secondo una ritualità complessa articolata in più fasi : l’uccisione della vittima si svolgeva tra canti, e offerte di profumi; l’animale veniva sgozzato con una scure, liberato del sangue e quindi fatto a pezzi mediante l’uso di coltelli; agli Dei erano riservati il fumo delle ossa calcinate e l’odore degli aromi bruciati per l’occasione; agli uomini toccavano le parti carnose dell’animale cotte in diverse modalità.
Le viscere - puntualmente elencate da Aristotele nel trattato sulle parti degli animali: fegato, polmoni, milza, reni e cuore – che rappresentano quello che c’è di più vivo e più prezioso nella vittima offerta, venivano consumate per prime, obbligatoriamente arrostite allo spiedo e mangiate sul posto, senza sale e bollenti.
Il resto delle carni bollite poteva essere mangiato anche più tardi, sia sul posto che in qualche locale vicino, oppure nelle abitazioni private dei partecipanti al sacrificio che avevano beneficiato della loro distribuzione.
Più diffuso nella società magno greca il consumo del PESCE che in
alcune città come Taranto era la base principale dell’alimentazione.
Ennio ne celebrava soprattutto i molluschi, mentre Archestrato decantava le anguille magno greche e Aeliano i tonni di Taranto e di Hipponion (attuale Vibo Valentia).
In tutta la Magna Grecia si consumavano grandi quantità di DOLCI che venivano preparati ed offerti durante le festività religiose e le cerimonie sacre; di alcuni sono stati tramandati nomi e ricette.
La piramìs, dalla particolare forma a piramide, era costituita da frumento arrostito e sesamo impastati con miele;
il plakùs, di forma bassa e tonda, era fatto di farina, noci, pistacchi e datteri;
i pinakes - molto rari e di recente identificati a Locri in una scena raffigurata - sono dolci a forma antropomorfa, cioè raffiguranti il corpo umano stilizzato. Diffusi in Egitto e in Oriente, sono stati connessi al culto della Grande Dea e di Afrodite, e nel caso di Locri soprattutto a quello di Persefone.
Persefone in trono e Dioniso con il tralcio di vite. Pinax in terracotta. Locri, V sec.a.C. Museo Archeologico Nazionale, Reggio Calabria.
Vecchia che stringe un grande vaso da vino. Statua in marmo.Copia di un originale ellenistico, III sec.a.C. Musei Capitolini, Roma.
Mela, fichi e melegrana. Terracotta votiva. Santuario di Contrada Calderazzo, V sec.a.C. Medma (attuale Rosarno). Museo Archeologico Nazionale, Reggio Calabria.
Lavorazione del tonno. Vaso a fondo nero con figure rosse, IV sec. a.C. Museo Regionale Mandralesca, Cefalù.
Alimentazione nel BRUTTIUM (odierna CALABRIA) parte della
MAGNA GRECIA
CEREALI LEGUMI FRUTTA - alimentazione prevalentemente vegetariana, con uno scarso apporto calorico, ma probabilmente sufficiente dal punto di vista nutrizionale.
La ricerca archeologica per il territorio di Crotone ha documentato la coltivazione di ben cinque varietà di LEGUMINOSE. Nelle tavolette bronzee di Locri si parla di un debito contratto dalla città di Locri per comprare FRUMENTO e FAVE.
Grande era il consumo della FRUTTA, sia durante i pasti quotidiani
che nelle cerimonie sacre e durante i riti funebri.
Comuni i piccoli POMI, menzionati da Catone che sono stati coltivati in Calabria fino all’inizio del secolo scorso quando questa produzione ha lasciato il posto ad altre varietà più richieste dal mercato; diffusi anche PERE FICHI UVA … MELAGRANE sacre alla dea Persefone, UVA sacraa Dioniso.
I FORMAGGI e il MIELE - l’unico dolcificante a disposizione dei greci - erano considerati alimenti con forte pregnanza religiosa, cibi intermediari tra gli dei e gli uomini, destinati ad alcune divinità dell’Olimpo (Zeus, Demetra, Artemide ecc.).
Il PESCE veniva consumato in misura maggiore della CARNE. Già nell’antichità lo Stretto di Messina era noto per la pesca del pesce spada; sempre in Calabria è documentata quella del tonno, per la quale le fonti antiche (Eliano e Ateneo) nominano esplicitamente la città di Hipponion dove in effetti, per l’età romana, è documentata la presenza di complessi per la pesca e la salagione del tonno; si consumavano anche i molluschi (patelle, lamellibranchi ecc.) ed ampiamente attestato negli abitati magno greci il rinvenimento di conchiglie; emblematico il caso di Locri, dov’è stato rinvenuto uno scarico di conchiglie di molluschi, alcune delle quali addirittura rimaste attaccate al fondo di una pentola.
In effetti la CARNE svolgeva un ruolo secondario nella dieta del Bruttium che traeva le proteine soprattutto dai LEGUMI; l’analisi delle ossa animali rinvenute a Locri rivela che i bovini e gli asini erano impiegati nel lavoro fino ad età adulta e venivano mangiati solo quando cessava la loro attività lavorativa; mentre il consumo della carne per i Greci è connesso alla pratica quotidiana del sacrificio cruento agli Dei.
Il consumo della carne aumenta in modo notevole in età romana,
quando domina il mercato della LUCANICA - un insaccato prodotto
in Basilicata, con tecniche introdotte dai Greci.
Molto importanti per l’economia magno greca furono il VINO e l’ OLIO, due prodotti molto diffusi anche in Calabria, dove sono segnalati vini pregiati come l’amineo e il byblinos.
Il più ricercato e celebre era senza dubbio l’amineo prodotto nella regione degli Aminei, nominata da Plinio e collegata al territorio dell’opulenta Sibari, colonia famosa nell’antichità oltrecchè per il lusso, anche per la buona tavola.
Anche dopo la distruzione di Sibari, il nuovo impianto di Thuri che ne eredita il prestigio, continua la tradizione vinicola. Per il IV e III secolo a. C., le fonti segnalano molte qualità di vini calabresi: il thurino da Thuri, prodotto nella valle del Crati e del Coscile; il lagaritano, da Lagaria, nel territorio dell’attuale Capo Spulico; il reghinon, nel territorio di Reghion (attuale Reggio Calabria), il busentino da Pissunte (colonia il cui sito non è stato ancora identificato); ottimo vino si produceva anche nei territori di Cosenza e Temesa.
Fonti antiche (Plinio) documentano in particolare per il Bruzio, la coltivazione e l’uso alimentare del CAVOLO. Per la Calabria erano noti i “cavoli bruttini”, dotati di grandi foglie, fusto sottile e sapore molto acuto. Alcune specie vegetali sono documentate dalla coroplastica (tecnica di lavorazione della terracotta) rinvenuta soprattutto nelle stipi votive di Locri e delle sue subcolonie Medma (attuale Rosarno) e Hipponion (attuale Vibo Valentia), come i “tortarelli” verdi e le capsule di papavero.
Mele, capsule di papavero, tortarello verde. Fruttini votivi di terracotta. V sec.a.C. Museo Archeologico Nazionale, Taranto.
I “tortarelli” verdi corrispondono ad una varietà di MELONE diffusa in tutta la Magna Grecia (Policoro, Taranto) ma anche in altri siti del bacino del Mediterraneo (Olinto, Argo) il cui gusto ricorda quello del cetriolo.
Le capsule di papavero erano utilizzate per estrarre l’ OPPIUM, il succo che si forma all’interno della capsula; il suo uso era soprattutto farmaceutico, come sedativo ed analgesico, mentre i chicchi erano utilizzati come alimento. Il poeta Alcmane menziona dei PANI ricoperti di grani di papavero (l’uso di decorare il pane è rimasto nell’Italia meridionale in Sicilia e Puglia) che venivano utilizzati anche per decorare i dolci.
Rappresentazione della raccolta delle olive. Anfora Attica, VI sec.a.C. British Museum, Londra.
Vaso configurato a porcellino. Necropoli Ellenistica. Reggio Calabria, Età ellenistica. Museo Archeologico Nazionale, Reggio Calabria.
"L'alimentazione nell'antico Egitto”
CEREALI : FRUMENTO ORZO FARRO
I cereali oltre alla produzione del PANE venivano utilizzati anche per la
preparazione di ZUPPE e BIRRA.
Degustazione della BIRRA in antico Egitto
Deir el-Medina, Tomba di Sennedjem (TT1): il defunto e la moglie arano un campo di grano
Il PANE era l’alimento base.
Tavolino di canne e steli di papiro,piano d’appoggio per le FORME DI PANE - Nuovo Regno, XVIII dinastia. ME TORINO
Coppa con pane e rami di persea – Terracotta resti vegetali – XVIII dinastia 1400-1350 a.C. ME TORINO
Nella tomba di RAMSES III a TEBE un dipinto a più scene LA PANETTERIA REALE
PANE di tante forme : conica, circolare, semicircolare, ovoidale, triangolare …
VERDURA e FRUTTA
LEGUMI : FAGIOLI CECI FAVE LENTICCHIE PISELLI LUPINI
AGLIO PORRI CIPOLLE
MELONI CETRIOLI CAVOLO RAFANO CORIANDOLO CUMINO PREZZEMOLO
PAPIRO LOTO LATTUGA
GIUGGIOLO FICHI DATTERI
UVA MELI MELOGRANI
NOCE di COCCO di importazione
Il PESCE era la migliore fonte di proteine a buon mercato
per l’egiziano medio.
PESCA con l’arpione, con la lenza, con il paniere e con la vongola. Nell’antico regno pesca a squadra con la nassa.
E’ da notare che nonostante le numerose rappresentazioni di pesca esistenti, il pesce manca totalmente nelle offerte funerarie. BOTTARGA
Attività agricola fonte primaria si sussistenza … CACCIA attività di svago
Gli UCCELLI costituivano una grossa fonte di nutrimento :
PICCIONI GRU OCHE ANATRE e uccelli acquatici di diverso tipo.
Cattura con trappole, reti, lacci . Solo verso il nuovo regno si affermò la caccia con la rete esagonale, presente già nell’antico regno
Molto importante fu l’allevamento dei BOVINI.
Scene che descrivono l’operazione di MACELLAZIONE.
Il metodo più frequente di cottura la bollitura. Non si sa con certezza dell’uso di carne di MAIALE e PECORA. ERODOTO parla del maiale come animale impuro per gli egiziani … le capre invece erano presenti in grandissime quantità nelle liste di offerte regali ai maggiori templi egiziani.
DOLCI - Alla pasta del PANE potavano essere aggiunti
ingredienti dolcificanti come MIELE DATTERI CARRUBE
UVA PASSA.
VENDEMMIA - Particolare dalla tomba di Nakht (TT52)
Pittura di una tomba tebana della XVII dinastia (15552-1306 a.C.) dove sono rappresentati due contadini che colgono grappoli d’uva da una pergola, circostanza interessante da cui si deduce che in Egitto, già nel II millennio, era diffuso il sistema di coltivazione ‘a pergola’. Altri quattro lavoranti procedono alla pigiatura delle uve in un grande tino ed un loro compagno, chino sotto le cannelle, raccoglie nei recipienti il mosto appena spremuto. In alto si nota una ordinata fila di anfore nelle quali, una volta completata la fermentazione, veniva risposto il vino. Possiamo anche conoscere il modo di vestire dei contadini, consistente in un panno di lino di colore bianco che essi avvolgevano attorno ai fianchi.
A cena con Tutankhamon :
Tavola delle OFFERTE
Liberamente tratto da mondoecucinaconizumi.altervista.org
Ricreata la BIRRA dei faraoni analizzando il lievito di 5.000
anni fa
Era la loro bevanda preferita, aveva un significato religioso e curativo, e sulle loro tavole non mancava mai. Oggi, dopo migliaia di anni, è stato possibile ricreare per la prima volta la birra dell'antico Egitto, con lo stesso sapore che doveva avere al tempo dei faraoni, riportando in vita le colonie di lievito rimaste in contenitori di terracotta di 5.000 anni fa.
ANATRA all’ARANCIA - RICETTA d’AUTORE -
Da Caterina de’ Medici alle tavole di Francia … canard à l’orange
Si racconta che Il papero alla melarancia fosse una delle preparazioni preferite di Caterina de’ Medici, la quale, andata in sposa nel 1533, a soli 14 anni, ad Enrico di Valois, duca d’Orleans, il futuro re di Francia, insoddisfatta della cucina francese dell’epoca, avrebbe fatto venire a Parigi i suoi cuochi e pasticcieri fiorentini, dando così inizio ad una trasformazione che avrebbe portato una semplice cucina di corte a quella che dopo pochi secoli divenne la famosa e raffinata cucina francese.
Di Caterina de’ Medici sappiamo che amava i gusti forti e la tavola sfarzosa, usava tovaglie damascate, impose di usare le posate, cambiare piatto a ogni portata e stabilì la sequenza di portate nel menù.
Le versioni di questa gustosa preparazione sono molteplici …
ANATRA INTERA … ANATRA A PEZZI … solo PETTI D’ANATRA …
La versione francese usa ovviamente burro e Grand Marnier mentrenelle ricette italiane di solito si trova olio extra vergine di oliva e vino bianco secco.
Ecco la mia ricetta … da leccarsi le dita !!!
Tagliare l’ANATRA in parti eliminando il grasso e la pelle in eccesso. Far rosolare bene in padella con sale e senza condimento alcuno … l’ANATRA rilascerà molto grasso che verrà poi eliminato …
In una seconda padella fare imbiondire SCALOGNO ( o cipolla) in olio extra vergine di oliva … aggiungere i pezzi di ANATRA rosolati, il fondo di cottura completamente sgrassato della prima padella, sale e pepe … quindi sfumare con vino bianco secco.
Sbucciare 3 ARANCE e mettere le bucce al vivo (senza bianco) in un pentolino con acqua fredda da portare a ebollizione …
Aggiungere all’ANATRA il SUCCO delle 3 ARANCE e le rispettive BUCCE sbollentate e tagliate a striscioline … continuare la cottura … che profumo !!!
GRAPPOLI del MELEZET
Chiesa di Sant'Antonio Abate. Diocesi di Susa ( sec. XVII ).
Bardonecchia (TO) fraz. Melezet.
L’intera struttura è dominata dall’ intaglio ligneo, profuso non solo sui retable dell’altare maggiore e degli altari laterali, ma anche nelle decorazioni naturalistiche a rilievo che seguono le linee di arconi e lesene dell’area presbiteriale.
Tra gli intagli lignei gli oggetti più interessanti e più caratteristici sono i
GRAPPOLI del Melezet, pannelli con “cascate di FRUTTA” che decorano la parete di fondo dell’abside della chiesa, insieme a ghirlande di fiori e frutta poste più in alto. Prodotto tipico dell’intaglio della “scuola di Melezet” la cui produzione sopravvive a tutt’oggi, recano una decorazione policroma vivace e si datano intorno alla fine del XVII secolo.
Foto Mauro DRAGONI
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