2 NOVEMBRE – COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI
In Umbria non mancano di certo dolci per ogni ricorrenza … e questa
giornata a tutti cara viene celebrata con le FAVE dei MORTI
Le fave dei morti della pasticceria umbra Millevoglie Margottini di Fabro
Non servono legumi ma piuttosto mandorle per prepararle … la loro forma ricorda quella delle fave, da cui il nome.
Già nel VII – VI sec. a.C. nell’area del Mediterraneo le fave erano legate al mondo dei morti e al culto dei defunti,
sia in riferimento alle radici della pianta, particolarmente lunghe e capaci di affondare nel terreno, proprio lì dove i morti riposano e pertanto possibile tramite tra il mondo terreno e quello sotterraneo,
sia in riferimento alle infiorescenze, bianche ma screziate di nero, con un ‘marchio’ che ricorda la Tau greca, iniziale di Thanatos (la personificazione maschile della morte).
Inoltre, le fave secche ammollate tingono l’acqua di colore rosso e ricordano quindi il sangue.
Gli antichi Egizi non mangiavano fave, non le seminavano e neppure le toccavano con le mani. I sacerdoti non osavano neppure alzare lo sguardo sopra questo legume ritenendolo immondo. Si credeva, a quei tempi, che le fave, in particolare quelle nere, contenessero al loro interno le anime dei morti.
Arrivate in Europa dall'Africa Settentrionale e dalla Persia, le fave si sono poi diffuse sia in Grecia che nell'Impero romano.
In diverse antiche civiltà le fave erano considerate il cibo dei morti. Nell'antica Grecia venivano per esempio cotte ed offerte a Bacco e Mercurio per le anime dei defunti.
Nella Roma antica si riteneva che nei baccelli si andassero ad annidare le anime in transito verso l’aldilà. Venivano offerte fave alle Parche, a Plutone e Proserpina nel corso delle cerimonie … venivano lasciate in offerta sulle tombe in occasione delle cerimonie funebri. Sembra addirittura che esistessero dei rituali scaramantici come la masticazione di fave secche o la loro cottura.
Con il passaggio verso la ricorrenza cattolica questi legumi si sono trasformati in qualcos’altro, sicuramente più invitante.
Le FAVE del MORTI nelle loro varianti regionali
C’è chi sostiene che le fave dei morti siano originariamente umbre, ma di fatto si trovano diffuse tra Lazio, Umbria, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia, perfino a Venezia e Trieste tradotte in varie versioni.
Le fave dei morti del pasticciere bolognese Gino Fabbri
Nel nord est si usano ad esempio i pinoli, in Romagna si profumano all’anice, mentre a Bergamo si preferisce un goccio di grappa.
La versione romagnola delle fave dei morti
L’elemento comune è la forma piatta e arrotondata e la consistenza che ricorda vagamente gli amaretti, ma con un interno meno umido e friabile per poterle conservare anche a lungo in credenza.
È comune la base di mandorle tritate, insieme a zucchero e uova.
Dalle classiche di colore bianco si sono poi diffuse in vari colori : rosso per l’alchermes, bruno per il cacao, anche giallo o verdino con l’aiuto di coloranti naturali.
Il gastronomo Pellegrino Artusi le chiama ‘fave alla romana’ o dei morti per via del loro legame con la ritualità antica e dà nel suo ricettario della fine dell’Ottocento ben tre ricette. “Le prime due sono da famiglia, la terza è più fine”, di fatto senza farina e burro.
RICETTA 1 2 3
Farina, grammi 200 100
Zucchero, grammi 100 100 200 (a velo)
Mandorle dolci, grammi 100 200 200
Burro, grammi 30 30
Uova, n° 1 intero 1 intero 2 albumi
Odore di scorza di limone, oppure di cannella, o d’acqua di fior d’arancio
A Venezia le FAVE DEI MORTI assumono la forma sferica e si caratterizzano per essere di tre colori : bianco con l’aggiunta del rosolio, rosa con l’alchermes, marrone con il cioccolato grattugiato.
Affondano le proprie origini in un’antica tradizione: hanno sostituito le fave arrostite che si mangiavano in passato in occasione della ricorrenza dei morti.
Le autentiche fave dovevano essere confezionate con i soli pinoli perché le mandorle le rendevano più pesanti. Oggi, dato il costo dei pinoli, si preparano quasi esclusivamente con le mandorle.
Ma perché questo dolce deve essere simile alle fave? Le fave erano considerate da Plinio un “incantesimo protettore”, il simbolo dei morti e della loro prosperità.
La tradizione di mangiare questo legume durante la “Festa dei morti” pare abbia origini molto antiche e, alcune fonti, le fanno risalire ad un’usanza da cui deriverebbe anche il nome “Calle della fava” a Venezia.
Anche con l’avvento del Cristianesimo, il legame tra le fave e i morti non venne scordato tanto che, fino ai tempi più recenti, era usanza mettere sul davanzale e sugli angoli delle strade ciotole colme di fave. Oggi la fava naturale è stata sostituita con le deliziose Fave dei Morti!
• 400 g di pinoli tritati
• 400 g di zucchero
• 6 albumi d’uovo sbattuti a neve soda
• vaniglia
• 2 bicchierini di liquore (rosolio bianco e alchermes)
• cioccolato grattugiato.
Le FAVE TRIESTINE sono a base di mandorla e sempre di 3 colori : bianco all’essenza di vaniglia, rosa all’essenza di acqua di rose e marrone all’essenza di cacao. Le fave migliori presentano una leggerissima crosta croccante che nasconde un cuore morbido, gustoso e profumato.
Dagli archivi storici di una delle pasticcerie più antiche di Trieste sembra che facciano parte della tradizione triestina almeno dall’inaugurazione del castello di Miramare.
In Carso il mandorlo è un albero diffuso e la raccolta dei frutti viene fatta appunto tra ottobre e novembre. In questo periodo le dispense dovevano essere riempite con il nuovo raccolto e le ultime riserve di questi meravigliosi frutti andavano comunque consumate entro l’anno di produzione perché gli olii presenti nella mandorla la inacidiscono nel lungo periodo.
Ed è proprio nella maturazione della mandorla che sta il segreto dell’ingrediente essenziale della fava: la farinella.
Per mantenere la consistenza ottimale della fava, nella lavorazione della farinella gli olii essenziali non devono fuoriuscire e ciò è possibile soprattutto con la lavorazione di mandorle del vecchio raccolto.
Questi dolcetti continuano a ricordare il ciclo della vita attraverso l’uso simbolico dei colori:
- bianco-nascita
- rosa-vita
- marrone/nero-morte
Nella campagna romana, le Fave sanciscono ufficialmente l'inizio
della primavera e dei nuovi raccolti, rivestendo un ruolo
beneaugurale, simbolicamente accostate al Pecorino fresco, colla “lacrima”,
profumato di pascolo verdeggiante.
Le fave, rigorosamente romanesche, tenere, fresche e dal colore verde brillante, sono tipiche del territorio e ingredienti fondamentali in tante preparazioni della cucina romana.
Il pecorino romano DOP, dal gusto aromatico e lievemente piccante, viene prodotto con il latte fresco intero di pecora. Le sue origini risalgono a oltre duemila anni fa: gli antichi romani ne apprezzavano il sapore deciso; i legionari lo consumavano insieme alla zuppa di farro per il notevole apporto proteico e la carica energetica che forniva loro.
Già in epoca preistorica, le fave erano coltivate e consumate nella
regione.
Reperti archeologici risalenti all’età del bronzo attestano la loro presenza nelle aree intorno a Roma, mentre testimonianze letterarie dell’antichità ne descrivono l’utilizzo diffuso. Catone, Varrone e Plinio il Vecchio nei loro scritti agricoli menzionano le fave come alimento prezioso, apprezzato per il suo valore nutritivo e la sua versatilità in cucina. Apicio, celebre gastronomo romano del I secolo d.C., includeva diverse ricette a base di fave nel suo ricettario “De re coquinaria“.
Tra queste, una ricetta per le “Fave con il miele”, un dolce antesignano delle moderne fave con la ricotta. Per i Romani, le fave erano un alimento base, consumato fresco o secco, in diverse preparazioni.
Le più diffuse erano le “Fave in umido”, cotte con olio, erbe aromatiche e, a volte, lardo o pancetta. Venivano inoltre utilizzate per preparare focacce, zuppe e persino dolci. Le fave erano considerate anche un alimento propiziatorio, spesso consumate durante riti religiosi e festività.
Per unire il passato al presente passiamo dal papa che nel 1309 ha trasferito la Santa Sede in Francia. Il francese Papa Clemente V era un grande amante delle fave. Si dice che durante il suo papato facesse arrivare regolarmente carichi di fave fresche dal Lazio alla sua residenza francese. Portando con sé quindi un’abitudine alimentare acquisita a Roma. Ancora oggi, le fave occupano un posto di rilievo nella cucina romana e del Lazio.
Nonostante le fave fresche abbiano una stagionalità ben precisa, a seconda delle temperature dell’anno da aprile a giugno, le fave secche si trovano tutto l’anno. Ed entrano quindi con il loro carattere nelle ricette che esaltano la tipicità dei territori di produzione.
Tra gli abbinamenti di gusto più tipici troviamo le “Fave con il guanciale”,
le “Fave con la pecora”, con pecorino romano e menta, e le “Fave fresche”,
con olio, sale e pepe.
Ma il modo più diretto di degustarle è “Fave crude e pecorino”, che fonde il sapore fresco del legume alla piccantezza di uno dei formaggi regionali più tipici.
Le fave sono uno degli ingredienti immancabili nella “Vignarola” : contorno romano che le fa cuocere insieme a piselli, carciofi e lattuga romana. Altro piatto che nasce come stagionale, ma i cui limiti temporali si sono molto allargati nel tempo.
Tornando al 2 NOVEMBRE, giorno della COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI,
oltre alle FAVE dei MORTI in Umbria è tradizione gustare i
CROSTINI con FAVE, pancetta e finocchio selvatico
BUONA VITA a tutti !!
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