Un giro in città tra alcuni dei PALAZZI STORICI
simbolo di TORINO
Palazzo del Seminario Metropolitano. Costruito per ospitare il seminario dell'arcidiocesi, divenuto poi sede della Pontificia facoltà teologica di Torino, oggi ospita la sezione distaccata della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale.
Il progetto del 1711 (in passato attribuito a Filippo Juvarra) è stato riconosciuto a Pietro Paolo Cerruti. La costruzione del palazzo si colloca nell'espansione cittadina negli anni 1720-30 (terzo ampliamento di Torino) e la rivoluzione urbanistica promossa da Vittorio Amedeo II e guidata da Filippo Juvarra dopo che Torino divenne capitale del Regno di Sardegna.
A dirigere i lavori fu il rettore del seminario Pietro Cossa al quale sono dedicati un busto e una lapide sopra la porta centrale del salone del seminario.
La costruzione del palazzo fu lunga e complessa …
Nel contratto del 10 marzo 1711, gli scalpellini Bartolomeo Quadrone e Francesco Busso erano stati assunti per la costruzione del portale centrale con pietra di Gassino. All’ala orientale lavorarono nel 1711-1712 i capomastri Domenico e Carlo Francesco Pizone. Nell’agosto del 1712 vennero consegnate per via fluviale su 150 barche, partendo da Bereguardo quattordici (su ventiquattro) grandi colonne di marmo rosso (con capitelli, zoccoli, e arredi) degli scalpellini milanesi Antonio Magistretto e Carlo Salvadore.
Nel 1723-24 agli scalpellini di Barge fu assegnata la lavorazione dei pavimenti in pietra locale.
Nell’aprile del 1782 l’orologiaio Pietro Martina installò un grande orologio nel cortile.
Nel 1793 il rettore Adami avviò l’ampliamento della cappella. Commissionò un nuovo altare marmoreo al capomastro scalpellino Francesco Parodi di Genova e il coro ligneo al falegname Vincenzo Rasario di Romagnano Sesia.
Il palazzo fu occupato da truppe francesi nel 1799.
L'arcivescovo Giacinto Della Torre, che era nelle grazie del regime Napoleonico, ottenne la riapertura del seminario con decreto imperiale del 16 febbraio 1807.
Per molti anni dopo il 1848 fu impiegato come ospedale temporaneo militare; nel 1867 fu incamerato dal demanio statale italiano.
La cappella fu completata nel 1774 ed ampliata nel 1793 da Ceroni.
Vi si trovano una statua dell’Immacolata Concezione della prima metà del XVIII secolo dello scultore toscano Giovanni Domenico Olivieri, alle pareti laterali dei dipinti (risalenti agli ultimi anni 1730) del pittore piemontese Tana, mentre la volta fu affrescata (nel 1757-58) dal pittore modenese Giovanni Battista Alberoni. I dipinti delle porte della sacrestia furono realizzati dal paesaggista Vittorio Amedeo Cignaroli mentre i gradini lignei dell’altare maggiore sono opera dello scultore piemontese Stefano Maria Clemente.
L’organo, degli anni 1778-1779, è opera di Francesco Concone.
Palazzo di Città – Loggiato e Camelie
Palazzo di Città – Matrimoni civili
Palazzo Falletti di Barolo – Via delle Orfane . Putto triste per la morte di Elena Matilde gettatasi dalla finestra …
Reale Mutua – Palazzo Biandrate Aldobrandino di San Giorgio (via delle Orfane – via Garibaldi)
Sede degli uffici della Compagnia dal 1877 al 1933, nel 2012 il Palazzo riapre le porte dopo un complesso intervento di restauro.
Edificato in epoca tardomedievale, nel ‘500 era di proprietà di casa Savoia, destinato ad ospitare anche gli ambasciatori della Repubblica di Venezia.
Carlo Emanuele I, soprannominato dai sudditi “Testa di Fuoco” per le sue attitudini militari, lo donò a Guido Francesco Biandrate Aldobrandino di San Giorgio, come ricompensa per la confisca dei propri beni durante la prima guerra del Monferrato (quella che fa da sfondo alle vicende dei Promessi Sposi) da parte dei Gonzaga, che all'epoca controllavano il feudo monferrino.
Il palazzo fu poi al centro di un continuo trasferimento di proprietà: venne rivenduto a Carlo Emanuele e restituito, per il mancato pagamento dell'acquisto da parte dei Savoia, ai Biandrate, che alla fine del Seicento affidarono a Sebastiano Taricco la decorazione delle sale del piano nobile con un ciclo di affreschi celebrativi dell’antico casato.
Nel ‘700, il pianterreno ospitava il Caffè Forneris, primo germoglio della grande stagione dei caffè torinesi.
Ancora un giro di valzer che vide susseguirsi varie proprietà, e poi l’acquisto nel 1877 da parte di Reale Mutua, che ne fece la sede dei suoi uffici. Con la costruzione del nuovo edificio in via Corte d’Appello agli inizi degli anni ‘30, il palazzo venne via via destinato a funzioni di rappresentanza.
“Lo spettacolo di Torino è il solito spettacolo da incubo all’indomani di tutte le incursioni: gente errante per le strade, fumigar di incendi da tutte le parti, zampilli d’acqua in mezzo alle strade “ ricorda un diario del 1943. “Ma il bombardamento su Torino della notte tra il 13 e il 14 luglio è stato molto di più del solito spettacolo da incubo. 250 quadrimotore della RAF hanno sganciato una cascata di bombe dirompenti seguite da ordigni incendiari che hanno terrorizzato la città. I torinesi all’uscita dai rifugi antiaerei contano 800 morti e 900 feriti e si trovano davanti una città devastata in ogni sua parte: in centro, Palazzo Chiablese, piazza Castello, via Po, via Roma, il Duomo e via Garibaldi. Palazzo Biandrate è colpito nel tetto, nelle soffitte e negli alloggi”.
Tra il 2010 e il 2012 una grande opera di restauro ha interessato i tre piani che affacciano su via delle Orfane e gli spazi al piano terra che si sviluppano intorno al cortile d’onore: soffitti a cassettoni, dipinti, affreschi, scaloni d’onore e sale di rappresentanza ospitano oggi eventi aziendali e accolgono, in parte, i visitatori diretti al museo.
Palazzo Scaglia di Verrua – Via Stampatori, 4
È considerato di grande valore documentario, perché è uno dei pochi esempi di palazzo cinquecentesco a non essere stato interessato da rimaneggiamenti di epoca barocca, mantenendo l'aspetto rinascimentale originario.
Realizzato tra il 1585 e il 1604 su commissione dell'abate Filiberto Scaglia di Verrua, divenne in seguito proprietà di Giacomo Solaro che operò ampliamenti e, nel 1603, commissionò gli affreschi della facciata e della corte interna all'artista bresciano Antonio Parentani. In seguito divenne residenza della nobile famiglia San Martino della Motta. Nel XVIII secolo venne infine acquistato dalla famiglia Balbo Bertone di Sambuy.
L'edificio sorge all'interno dell'antica planimetria romana della città, nell'isolato (carignone) denominato "Isola di Sant'Alessio".
Il grande stemma dei conti Scaglia di Verrua presente sul portone d'ingresso è inserito nelle altre decorazioni raffiguranti paesaggi, allegorie e divinità, incorniciate da motivi architettonici che caratterizzano la facciata tipicamente rinascimentale, di cui Palazzo Scaglia di Verrua è l'unico esempio rimasto a Torino.
Degna di nota è l'ampia corte interna, anch'essa caratterizzata da motivi architettonici rinascimentali e attribuibile ai maestri lombardi.
Qui, come a Genova, la pratica di rivestire con affreschi i palazzi ricavati da progressive estensioni era l'unica possibile. Questa situazione nasce a causa delle rapide trasformazioni dell'edilizia storica dovute alla crescita demografica e alla comparsa di una casta di patrizi ricchi cui spettava ostentare il proprio benessere con ampliamenti delle case in cui abitavano e con operazioni urbanistiche di largo respiro. A questi interventi si deve forse la scarsità di resti di costruzioni cinquecentesche affrescate, come nel Palazzo Scaglia di Verrua, incalzate dalle sistemazioni edilizie e urbanistiche con le quali la città raggiunse un assetto compiuto e particolare.
Civico 25 – Via Barbaroux
Cortile Piazza San Carlo
Camera di Commercio – Palazzo Birago di Borgaro
Sorge per volere del più importante rappresentante della ricca e nobile casata, il conte Augusto Renato Birago di Borgaro.
Dopo essersi distinto nella carriera militare, conquistando il titolo di Generalissimo del Regno sotto Vittorio Amedeo II di Savoia, il 13 giugno 1716 questi fece posare la prima pietra del suo palazzo in quella che oggi è via Carlo Alberto e, al tempo, era la Contrada degli Angeli: la ricchezza accumulata nel corso degli anni permise ad Augusto Renato di commissionare il lavoro addirittura a Filippo Juvarra, ormai architetto affermato, in Piemonte, e questa scelta fece divenire il suo palazzo uno dei maggiori esempi dell'arte torinese.
Augusto Renato fece della dimora juvarriana uno dei migliori salotti
della città, data l'importanza che egli stava acquisendo a corte: dopo essere diventato
cavaliere d'onore delle regine Anna Maria di Borbone-Orléans e Polissena Cristina
d'Assia-Rotenburg, egli ottenne il titolo di educatore degli eredi al trono.
Quando il palazzo venne ceduto alla casa dei Della Valle, nel 1858, mantenne per anni ancora il suo ruolo di importante dimora nobiliare: i nuovi proprietari arredarono gli interni con il gusto neorococò, con una vena di eclettismo ottocentesco. Quanto rimase inalterato fu l'impianto juvarriano.
L'architettura del palazzo, come ricorda il Milizia, è un felice caso di una firma juvarriana ad un edificio privato: l'abate messinese infatti tendeva a realizzare grandi opere dispendiose.
Accoglie il visitatore l'elegante cortile d'onore, attorno al quale si sviluppa il palazzo: ancora tutto originale (se si esclude la statua centrale), il cortile presenta la curva sinuosa datagli dallo Juvarra, quasi a simboleggiare una scenografia di teatro.
Gli interni sono profondamente influenzati dal gusto della famiglia dei della Valle: di notevole pregio è lo scalone principale, che permette l'accesso ai piani superiori, e il salone principale, con il notevole affaccio sul cortile, ove erano tenuti balli e feste.
Reportage fotografico by Barbara CARICCHI
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