Il Castello di AGLIE’ - Patrimonio dell’Umanità UNESCO - domina l’omonimo borgo di origini romane. Complesso architettonico risultato di 4 fasi costruttive comprese fra il XII e il XIX secolo affacciato su uno splendido giardino a parterre e affiancato sul lato orientale da un immenso parco romantico ottocentesco.
Giardino all’italiana con siepi di bosso risalente al 1867 circa (giardiniere Antonio Capello) sullo stile preesistente (progetto Michel Bernard, 1771).
Giardino pensile - affianca la manica seicentesca del castello al di sopra della vecchia maniscalcia e si affaccia sul Giardino all’italiana.
Parco con lago, radure e boschetti progettato dal paesaggista tedesco Xavier Kurten tra il 1830 e il 1840.
Il nucleo originario del castello risale verosimilmente al XII secolo, periodo in cui la dinastia dei San Martino si stava affermando nell’area canavesana.
La prima trasformazione dell’originario fortilizio fu operata nel 1646 su committenza del conte Filippo San Martino - politico oltre che letterato, favorito di Maria Cristina di Francia, prima Madama reale - secondo un progetto fatto risalire ad Amedeo di Castellamonte che interessò la parte di affaccio al giardino, la definizione del cortile di San Massimo e la costruzione della Cappella di San Massimo sul sito di un edificio religioso preesistente (1642-1657).
Cappella di San Massimo
A pianta quadrata, è chiusa da una volta a pianta ottagonale, interamente decorata dai raffinati stucchi seicenteschi e dagli affreschi con Storie della Vergine, opera di maestranze luganesi che dimostrano singolare affinità con i capolavori a stucco del Castello del Valentino e della Venaria Reale, realizzati negli stessi anni per la regia progettuale di Amedeo di Castellamonte.
Salone d’Onore – ex Salone da Ballo e ancor prima Salone d’Arduino.
Sulle pareti e sulla volta i dipinti eseguiti nel 1665 da Giovan Paolo Recchi con i Fasti del re Arduino d’Ivrea, capostipite della dinastia dei San Martino di Agliè.
Negli affreschi si riconosce Filippo nelle figura del sovrano e il motto “Sans despartir”
Alla morte di Filippo di Agliè il castello si presentava come una struttura sostanzialmente simmetrica a due corti, una interna e l’altra aperta verso il borgo; la facciata est era già caratterizzata dalle due torri-padiglione affacciate sul giardino ordinato a parterres.
Cortile di San Massimo
Nel 1764 il complesso fu acquistato da Carlo Emanuele III per il figlio cadetto Benedetto Maria Maurizio, duca del Chiablese.
Venne allora intrapreso un nuovo, grandioso progetto di riqualificazione del complesso ad opera dell’architetto Ignazio Birago di Borgaro.
Il borgo stesso fu coinvolto nel vasto programma di rinnovamento, con la ricostruzione dell’antica parrocchiale dedicata a Santa Maria della Neve, collegata al castello da una galleria coperta a due piani, tuttora esistente, detta Galleria delle Tribune.
Vennero costruite la Manica a nord ovest con gli appartamenti reali e sotto le Serre, due Scale, le Cucine nel settore di levante.
Birago chiamò ad Agliè artisti cari alla corte torinese.
Salone delle Guardie del Corpo (1770-1771).
Fu chiamato lo stuccatore ticinese Giuseppe Bolina per gli apparati decorativi del grande atrio d’ingresso con motivi vegetali e trofei di caccia ripresi dalla Reggia di Venaria Reale da cui è derivata la tarda denominazione di Salone di Caccia.
Alle pareti due paesaggi di Scipione Cignaroli (1725) e i ritratti di Carlo Felice di Savoia e della moglie Maria Cristina di Borbone-Napoli eseguiti nel 1816 dal pittore savoiardo Jacques Berger.
Furono inoltre sistemati i giardini. Su progetto di Michel Bénard - direttore dei reali giardini – l’ampliamento del parco venne risolto in termini di rigorosa simmetria verde, con uno specchio d’acqua lungo l’asse longitudinale. Fu inoltre abbellito con la grande Fontana dei Quattro Fiumi ornata da sculture dei fratelli Filippo e Ignazio Collino.
Durante la dominazione napoleonica il castello fu trasformato in ospizio, il parco lottizzato e venduto a privati; nel 1823 rientrò nei possedimenti reali. Anna Maria di Savoia, vedova del duca del Chiablese, lo lasciò in uso al fratello minore Carlo Felice.
Solo due pesanti consolle in marmi policromi restano dopo l’espoliazione napoleonica …
Due anni dopo nel 1825 ebbe inizio l’ultimo intervento di aggiornamento degli appartamenti, rispecchiando i desideri di re Carlo Felice e della regina Maria Cristina, amanti di arte e cultura.
Notevole l’influenza di Maria Cristina che in età giovanile aveva vissuto alla Reggia di Caserta.
La Cappella di San Massimo, molto amata dalla regina Cristina che vi si recava frequentemente a pregare, fu restaurata da Carlo Felice nel 1827, limitatamente all’aula, mantenendo intatto l’impianto decorativo della cupola.
Sono rinnovati il pavimento, le pareti a stucco lustro decorate con candelabri e l’altare ad opera di Pietro Cremona. La pala dell’altare di metà Seicento rappresenta l’Elemosina di San Massimo ed è attribuita a Giovanni Claret, mentre il Crocifisso in avorio è opera di Giacomo Marchino, allievo di Giuseppe Bonzanigo.
Al centro dell’ambiente è il singolare monumento innalzato da Giacomo Spalla intorno alla colonna sormontata dalla statua di San Paolo, dono – come testimonia l’epigrafe posta sulla parete destra della Cappella – del papa Leone XII per il contributo offerto da Carlo Felice per il restauro della Basilica romana di San Paolo fuori le Mura, distrutta da un incendio, nel 1823. I candelieri con gli angeli sono di Luigi Duguet. La cappella conserva una pregevole copia a grandezza naturale della Sindone, che risale all’ostensione del 1822 voluta da Carlo Felice per l’inaugurazione del suo regno.
La vocazione del castello fu quella di luogo di villeggiatura
Il castello messo a nudo dalle espoliazioni napoleoniche venne riarredato dagli artisti di corte; lo scultore Giacomo Spalla allestì la Sala Tuscolana ove sono tuttora collocati i reperti rinvenuti nella villa Rufinella presso Frascati, proprietà di Carlo Felice e della regina Maria Cristina.
Sarcofago con Apollo e le Muse (230-240 d.C.)
Nella seconda metà dell’Ottocento fu riallestita la Galleria Verde e portato il Parco alla sua consistenza attuale, abbandonando le simmetrie verdi per l’impianto di gusto romantico visibile ancora oggi.
Nuova sistemazione dell’Appartamento Reale.
Biblioteca
Galleria del Teatro - Quest’ambiente, destinato fin dall’origine ad accogliere la quadreria dei San Martino, fu arricchito di dipinti e sculture per esplicita volontà di Maria Cristina, vedova del re Carlo Felice e ad opera del successivo proprietario, Ferdinando, dopo la morte della regina nel 1849. L’attuale allestimento risale al secondo dopoguerra ed è dovuto ad Umberto Chierici, soprintendente ai Monumenti del Piemonte.
Nella Galleria del Teatro un dipinto rappresenta con ricchezza di particolari un intricato quadretto familiare : il matrimonio - 10 luglio 1559 - di Margherita di Valois, sorella minore del re Enrico II di Francia, con Emanuele Filiberto I duca di Savoia. Il loro matrimonio costituiva una delle condizioni della Pace di Cateau-Cambrésis.
La cerimonia ebbe luogo in circostanze tragiche: fu celebrata frettolosamente e senza grande pompa il giorno stesso in cui morì il re Enrico II, fratello di Margherita, che era stato ferito durante un torneo indetto per festeggiare le nozze della figlia primogenita Elisabetta con Filippo II di Spagna … il re tra i protagonisti del Don Carlo di Verdi.
Enrico insistette perché si celebrasse anche il matrimonio della sorella (36 anni di età), temendo che il duca Emanuele Filiberto si ritirasse dall’accordo.
Il torneo si era svolto il 1°luglio nella rue Saint-Antoine di fronte all’Hôtel des Tournelles, la residenza abituale del re. Un frammento di legno della lancia spezzata di Gabriele I di Lorges, conte di Montgomery era penetrato attraverso la celata dell’elmo di Enrico II ed entrato profondamente in un occhio ledendo il cervello.
Il re morì dopo una decina di giorni di sofferenza, all’età di quaranta anni, appena in tempo per benedire il matrimonio della sorella.
Benché scagionato dalla stessa vittima, il conte di Montgomery fu bandito dalla corte per disposizione di Caterina de’ Medici, vedova del re defunto, e si rifugiò in Inghilterra. Qui si convertì al protestantesimo, diventando uno degli esponenti militari più importanti della fede ugonotta, come principale collaboratore dell’ammiraglio Gaspard II de Coligny.
Enrico II ferito a morte in un torneo benedice il matrimonio di Emanuele Filiberto con Margherita di Valois.
Il dipinto raffigura al centro Enrico II ferito con accanto la moglie Caterina de’ Medici. A sinistra la figlia Elisabetta in abito scuro … a destra il cardinale di Lorena e i due sposi inginocchiati. I colori bianco, arancio, azzurro e porpora rendono bene la consistenza di sete e velluti.
Il dipinto (1843-1844) fu richiesto al pittore Francesco Podesti dalla regina vedova Maria Cristina.
Busto di Re Carlo Alberto
Orologio a globo da tavolo (1830-1840). Arrivò al castello nel 1844 e fu considerato una rarità. Compie una rotazione ogni 24 ore. Indica le ore, il giorno lunare, il giorno del mese e della settimana … segni zodiacali e fusi orari di 91 città …
Bambina intenta a giocare con un cane – gruppo marmoreo 1826 di Carlo Marochetti donato a Carlo Felice dal marchese Alfieri di Sostegno, ambasciatore del Regno di Sardegna in Francia presso il re Carlo X, dopo essere stato esposto al Salon di Parigi di quell’anno.
Nel piccolo Teatro tutto parla di Carlo Felice e Maria Cristina …
Sala del Biliardo
Particolare del soffitto
Studio
Sala Gialla
Galleria Verde
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie (1888) – olio su tela di Rodolfo Morgari
Visita di Carlo Felice e Maria Cristina alle isole Borromee sul Lago Maggiore(1841) – olio su tela di Pietro Righini
Come una foto ricordo … l’imbarcazione a remi con la coppia reale si dirige al porticciolo dell’isola Bella con il palazzo dei Borromeo, la più importante famiglia nobile lombarda in territorio piemontese.
Sala da gioco
Nella Sala con i tavoli da gioco anche il Busto di Vittoria di Savoia-Soissons (1780 circa) di Francesco Orso – ceroplasta piemontese.
Vittoria (Parigi 1683 – Torino 1763) era nipote di Eugenio di Savoia, il grande condottiero al servizio dell’Austria, del quale fu l’unica erede. Le grandi collezioni di Eugenio – soprattutto di dipinti fiamminghi – da lei vendute al ramo principale dei Savoia costituiscono oggi una parte fondamentale della Galleria Sabauda.
Lasciò quindi il resto dell’eredità al lontano nipote duca del Chiablese che probabilmente volle dedicarle questo busto dopo la morte.
Nel 1849 alla morte di Maria Cristina la proprietà passò a Ferdinando, primo duca di Savoia-Genova
Sala Cinese
Allestita negli anni ‘60 del Novecento conserva il nucleo principale della raccolta di arte orientale del castello (circa 180 pezzi), con i souvenir di viaggio collezionati dal duca Tommaso di Savoia-Genova durante le spedizioni navali sulla corvetta Vettor Pisani dal 1879 al 1881, oltre agli oggetti donati nel 1958 dall’ing. Giuseppe Canova.
3 abiti cerimoniali Samurai
Portantina
Tamburo cerimoniale della pioggia in bronzo del sud-est asiatico. Decorazione con rane.
Testa di Buddha in bronzo sbalzato
Grande piatto in carapace di tartaruga diametro 44 cm – opera di manifattura giapponese realizzata con la tecnica della lacca d’oro, makie (pittura cosparsa).
Venduto allo Stato nel 1939, il castello è stato destinato a museo di sé stesso, lasciandone immutate strutture e arredi.
AFRICA LE COLLEZIONI DIMENTICATE ai Musei Reali, Sale Chiablese in Piazzetta Reale a TORINO fino al 25 febbraio 2024
Dopo i recenti interventi di recupero e restauro delle collezioni africane presenti nei depositi dell’Armeria Reale di Torino e nelle raccolte dei Castelli di Agliè e di Racconigi è scaturita l’idea della mostra in collaborazione con il Museo delle Civiltà di Roma e il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino.
Reportage fotografico by Barbara CARICCHI
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