Dall’album e film di Luciano LIGABUE alla miniserie TV in onda su Canale 5 :
MADE IN ITALY - MILANO anni ’70 nel mondo della MODA.
La serie, che racconta la nascita della moda Prêt-à-porter italiana nella movimentata Milano del 1974, vede come protagonista Irene Mastrangelo (interpretata da Greta Ferro, già modella di ARMANI), ventitreenne figlia di immigrati dal Sud che vivono nei palazzoni di periferia e studentessa di storia dell’arte, che approda per puro caso nella redazione di “Appeal”- magazine di moda - dove incontra Rita Pasini (interpretata da Margherita Buy), una sofisticata e influente giornalista che “conosce tutti” e da tutti è apprezzata nel settore.
Il personaggio che prende ispirazione da Adriana MULASSANO, penna del Corriere della Sera che raccontò la moda tra gli Anni 60 e 70, ricorda un po’ anche Anna PIAGGI ma soprattutto Franca SOZZANI (alla quale la serie è dedicata).
Rita fa subito notare a Irene come sia vestita in modo inadeguato per una giornalista di moda, seppur agli inizi.
Gli occhi grandi e quasi perennemente stupiti di Greta/Irene, che evocano subito quelli di Anne Hathaway/Andrea Sachs in IL DIAVOLO VESTE PRADA , film del 2006, rivelano i molteplici punti di contatto fra le due produzioni: “Appeal” è il magazine “Runway”, Rita è la tremenda direttrice Miranda e le somiglianze non si fermano qui.
MADE IN ITALY è una trasposizione vintage di una redazione di moda che guarda incuriosita ed attenta i cambiamenti e il mood di una nuova generazione. Vive tra shooting fotografici, sfilate, interviste ed articoli di moda.
In questo cammeo della metà degli anni Settanta si fanno spazio gli stilisti iconici che hanno tessuto le trame dell’affermazione indiscussa della moda italiana, i creativi che hanno dettato le regole del vero stile “Made in Italy”.
Si respira in quell’epoca tutta l’energia creativa del Bel Paese dell’industria manifatturiera e tessile fatta di idee, sperimentazioni e tanto, tantissimo, senso artistico.
Si dettano le nuove regole e si afferma l’indiscutibile gusto italiano.
L’era del FASHION STYLE era appena iniziata.
Tra gli stilisti protagonisti di MADE IN ITALY il grande Walter ALBINI (Gaetano Bruno) , Giorgio ARMANI (Raoul Bova), KRIZIA (Stefania Rocca) fino a Enrico Lo Verso e Claudia Pandolfi nei panni dell'inseparabile coppia Ottavio e Rosita MISSONI. E ancora FERRE’ (Silvio Cavallo), FIORUCCI (Stefano Fregni), Raffaella CURIEL (Nicoletta Romanoff), VALENTINO.
A loro dobbiamo la rivoluzione del prêt-à-porter e il Made in Italy.
Walter ALBINI, il genio dimenticato della moda italiana, fu il primo a
essere chiamato “stilista”. Dal total look al pret-à-porter, le sue invenzioni.
Le sue intuizioni sarebbero state ampiamente adottate nei decenni successivi: fu tra i primi a disegnare abiti dal sapore maschile per le donne e linee unisex, nonché a proporre il "total look", composto da abiti e accessori disegnati da un solo stilista dalla testa ai piedi. La sua visione della moda era totale, e non si fermava ai vestiti: ALBINI disegnava tessuti, vetri, mobili.
Provocatoriamente (ma non troppo) diceva che gli ACCESSORI erano più
importanti degli ABITI stessi.
Walter ALBINI per primo ebbe l'idea di distinguere le collezioni in due linee: una di grande impatto ma destinata a un pubblico ristretto, seguita da una seconda più facile da portare, con un mercato più ampio.
In altre parole, inventò il pret-à-porter italiano: questo ruolo gli fu riconosciuto solo a posteriori, mentre negli ultimi anni della sua vita prevalse l'immagine di un uomo incostante e burrascoso. Morì nel 1983 a 42 anni, lontano dalla fama che avrebbe meritato.
Oggi la serie MADE IN ITALY riaccende i riflettori sulla sua storia, quella di un genio troppo in anticipo sui tempi.
Walter ALBINI , lo stilista uscito dall'atelier per entrare in fabbrica, nasce come
Gualtiero Angelo ALBINI a Busto Arsizio il 3 marzo 1941 e frequenta l'Istituto d'Arte, Disegno e Moda di Torino.
A 17 anni collabora a giornali e riviste, con schizzi dalle sfilate d'alta moda, prima da Roma, poi da Parigi. Qui incontra COCO CHANEL, restando folgorato dal personaggio. Dopo un incontro con Mariuccia Mandelli, lavora tre anni per KRIZIA e, nell'ultima stagione a fianco di un Karl Lagerfeld agli esordi.
È del 1970 la sua prima proposta della formula "unimax": uniformità di taglio e colore per uomo e donna. È anche l'anno della collezione “Anagrafe”, otto spose rosa in lungo, otto vedove in nero corto.
1969 – Disegno per la collezione “Anagrafe” (le spose e le vedove) di Misterfox. Foto Courtesy Marisa Curti.
È ormai LO STILISTA - termine coniato appositamente da Anna PIAGGI per poterlo definire - più famoso e conteso, ma anche il più insofferente ad ogni limitazione. Con cinque case di moda o meglio marchi d'industria, specializzate per tipologie di prodotto, coordinate secondo un progetto unitario in termine di stile, ottiene una linea completa che decide di presentare a MILANO e non nell'allora capitale della moda, FIRENZE.
È l'atto di nascita del pret-à-porter italiano.
Ma mentre la stampa internazionale lo definisce il "nuovo astro italiano", forte come Yves SAINT LAURENT, quella italiana si dimostra più miope e provinciale.
Abiti della collezione per Misterfox, 1971. Foto Alfa Castaldi.
Primavera Estate 1971. Collezione Rendez-Vous . Tessuti con stampe e ricami ispirati al Decò. Foto Alfa Castaldi
Disegno 1972 di Walter Albini per la collezione del 1973. Courtesy Marisa Curti.
Nella primavera-estate 1973, dopo aver rotto tutti i contratti con le varie case di moda, presenta a Londra una nuova linea per uomo e donna col suo nome. È la prima volta che viene adottata la formula di una prima linea di immagine forte ma di vendita ristretta, economicamente sostenuta da una seconda linea per la diffusione. Nello stesso anno apre lo showroom di via Pietro Cossa a Milano, dove verranno vendute tutte le sue collezioni, prende casa a Venezia, dove ambienta, al caffè Florian, una memorabile sfilata.
Fautore e pioniere del look totale, lo mette in atto prima di tutto personalmente, identificando il suo stile di vita con lo stile creativo, arredando le case in tono con le sue collezioni di moda e disegnando nella stessa cifra tessuti, oggetti, mobili, vetri.
Nel 1975 a ROMA presenta la sua prima collezione di alta moda ispirata a
CHANEL e agli anni '30, le sue icone e gli amori di sempre.
< L'alta moda è morta, viva l'alta moda > proclama con la sua tipica vocazione a marciare controcorrente.
Nei primi anni '80, la stampa lanciata all'inseguimento delle nuove icone della moda italiana, è distratta nei suoi confronti.
Walter ALBINI si spegne appena quarantaduenne, lasciando un'indimenticabile lezione di stile, intuito e innovazione, che solo dopo la sua morte è stata riletta da molti altri stilisti, alimentandone il mito.
Walter ALBINI ha dato un incisivo impulso al pre-à-porter italiano come espressione di design applicato alla moda in modo innovativo, ma con solidi riferimenti storici; ha inventato la nuova donna in giacca, pantaloni o chemisier; ha riproposto il revival come intelligente forma di ricerca e reinvenzione; ha usato criticamente la contestazione e l'ironia; ha affermato il look totale, con cura estrema dei particolari e degli accessori, per lui ancora più importanti dell'abito, e con un perfezionismo maniacale, pur tradotto in grande distacco e naturalezza.
KRIZIA - pseudonimo di Maria MANDELLI, detta Mariuccia - è stata una stilista e imprenditrice italiana, tra le più famose creatrici di moda.
Il nome Krizia è preso dall'ultimo Dialogo incompiuto di Platone (Κριτίας, incentrato sulla vanità femminile).
Non aveva un carattere facile Mariuccia MANDELLI, in arte KRIZIA, la grande stilista italiana nata a Bergamo nel 1925, tra i giganti del MADE IN ITALY , venuta a mancare improvvisamente la sera del 6 dicembre 2015, a 90 anni, nella sua casa di Milano.
Spigolosa ma dolce, elegantemente dura e affettata nei modi, la stilista che ha vestito donne forti come lei (un esempio per tutti: a Lady Diana piaceva molto la sua maglieria) amava infatti la figura della PANTERA, animale così affine a lei tanto da farne il suo portafortuna e uno dei suoi motivi iconici, sempre presente, stampato o ricamato su maglie e abiti fin dagli anni Sessanta, quando assieme ad un pugno di altri grandi stilisti, pionieri del Made in Italy, era partita con la sua moda fatta di
lamé plissettato, pantaloni alla cavallerizza, shorts e giacche-
kimono con spalloni esagerati, alla conquista del mondo.
Una FENICE, uccello mitologico che risorge dalle proprie ceneri, era invece nelle vetrine del negozio KRIZIA di Milano da settembre 2014, per indicare il nuovo corso del marchio di moda, acquisito nel febbraio 2014 dalla Shenzen Marisfrolg Fashion di Zhu Chong Yun, ricca imprenditrice cinese e designer di Shenzhen, che in Cina con i suoi brand è un colosso della moda.
Nella sede storica di KRIZIA in via Manin viene presentata la prima collezione disegnata da Zhu in persona, trasferitasi nella sua casa di Milano per immergersi negli archivi. La stessa designer aveva spiegato: < Ho trovato un grande tesoro tutto da interpretare >
Così Zhu aveva rivisitato gli elementi iconici di KRIZIA: della TIGRE simbolo del brand aveva ripreso solo l'occhio, trasferendone l'iride in forma di jacquard sui cappotti, mentre di altri animali aveva tenuto solo le zampate, diventate graffi su abiti in jersey strutturato e su gonne in jacquard tono su tono. Il plissé di Krizia veniva appiattito e trasformato in velo alto fino a coprire la bocca, portato su abiti a pannelli con bomber dalle maniche gonfie.
KRIZIA fin da giovane era stata attratta dalla MODA . A dispetto dei suoi studi in Svizzera e spinta dalla famiglia a fare la maestra, lasciò la cattedra e aprì un laboratorio a Milano, dove con l'amica Flora Dolci iniziò a produrre abbigliamento.
Nel 1957 Mariuccia realizzò una serie di abiti-frutta al Samia (Salone Mercato Internazionale Abbigliamento) facendosi notare dai compratori americani e da Elsa ROBIOLA, giornalista storica della moda italiana che in un articolo sull'evento segnalava la neonata griffe.
Ma il debutto avvenne nel 1964 con una collezione in bianco e nero presentata a FIRENZE a Palazzo Pitti, con cui ottenne il premio Critica della moda. Mariuccia venne definitivamente sostituita da KRIZIA, la stilista dall'inossidabile caschetto, il cui nome proveniva dal Dialogo incompiuto di Platone sulla Vanità femminile.
Nel 1971, quando la moda prevedeva solo lunghezze maxi e midi, Krizia presentò i 'bollenti' hot pants che le valsero a Capri il premio Tiberio d'oro.
Gli accostamenti arditi, l'uso di materiali insoliti come
gomma, sughero, anguilla, le valsero il soprannome di
'CRAZY KRIZIA' assegnatole dalla stampa americana.
ITALIA e FRANCIA : MODA INDISCUSSA
Un must have nel guardaroba di ogni donna, il tubino rappresenta l’inizio di una moda democratica e deve a COCO CHANEL la sua nascita.
Da quando COCO CHANEL lo ha inventato nel 1926 il Little Black Dress è entrato nella storia della moda. Grazie anche al suo successo presso le star di ogni epoca.
Perché come dice Miuccia PRADA: < progettare un piccolo abito nero significa provare a esprimere attraverso un oggetto semplice la grande complessità delle donne e dell’estetica contemporanea >
“Era una calda sera di inizio estate e lei indossava un piccolo, delizioso,
abito nero, sandali neri e una collana di perle”.
Così Truman Capote descrive Holly Golightly, sventata e romantica protagonista di Colazione da Tiffany (1958).
Di lì a qualche anno, Holly sarebbe approdata sul grande schermo con le meravigliose sembianze di Audrey Hepburn, tubino nero incluso.
Artefice di quell’abito dall’assoluta semplicità e insuperata eleganza, fu Hubert de GIVENCHY, il couturier prediletto della diva che, fin dal 1954, quando iniziò a vestirla in Sabrina, iniziò a occuparsi del guardaroba della Hepburn sullo schermo e nella vita privata. Presto, insieme all’abito verde realizzato con la tenda indossato da Vivien Leigh in Via col vento (1939) e a quello bianco plissé soleil sfoggiato da Marilyn Monroe in una delle scene clou di Quando la moglie è in vacanza (1955), quel vestito si sarebbe trasformato in uno degli abiti più famosi della storia del cinema, al punto da essere stato battuto all’asta da Christie’s il 5 dicembre 2006 per 467.200 sterline.
Ma a proposito di LBD - Little Black Dress , la prima a venire in mente è
COCO CHANEL.
Era il 1926 quando Mademoiselle, ricordando la sua infanzia povera dove il grembiule nero cancellava ogni disuguaglianza sociale, creò la petite robe noire. Il modello #817, così si chiamava quel tubino, riscosse un tale clamore che nell’ottobre di quell’anno sull’edizione americana di Vogue, oltre a essere definito: “l’abito che tutto il mondo porterà”, per modernità, eleganza e praticità, venne paragonato all’ultimo modello di automobile Ford.
Da quel momento il tubino nero è diventato un classico, costantemente riletto dalla moda, e ha ammaliato milioni di donne.
Roger Picard (1931) - Coco Chanel, Salvador Dali and Jules - Catawiki
L’amicizia incredibile tra COCO CHANEL e Romy Schneider
La storia di due donne che si ritrovano in un tempio della moda e diventano amiche, complici, sostenitrici. Fino alla fine.
foto scattata nel 1960 nello storico atelier di rue Cambon
Quando Gabrielle Coco Chanel e Romy Schneider si conoscono,
Mademoiselle ha 77 anni e la Principessa (Sissi) ne ha 22.
Sono già, entrambe, due donne distrutte. Due donne importanti, importantissime, che si guardano in tailleur bouclet e cercano di capirsi. Due donne potenti e amiche: cosa rarissima per cliché. Due donne che hanno traumi e lutti da celare sotto al vestito, che hanno una sinergia inaspettata. Che scoppia come un colpo di fulmine. A dispetto delle teorie anagrafiche.
2021 - Gabrielle CHANEL, di cui si celebrano 50 anni dalla morte avvenuta a Parigi il 10 gennaio 1971, odiava l'eccesso di orpelli, le crinoline e le stecche di balena.
< Guardale, sembra che in testa portino delle meringhe, non dei cappelli >
commentava indicando le signore mentre passeggiava sulla spiaggia con Boy Capel, l'imprenditore di Newcastle, unico vero amore della sua vita, in una scena del film di Anne Fontaine, Coco Avant Chanel - L'amore prima del mito (2009), interpretato da Audrey Tautou .
Sono passati 50 anni dalla morte di COCO CHANEL all'età di 87 anni in una stanza dell'Hotel Ritz di Parigi, ma ancora oggi resta la più geniale protagonista della moda del XX secolo e soprattutto l'ardita rivoluzionaria del costume femminile dell'era moderna.
Quell'orfana senza risorse che ha rivoluzionato la silhouette
femminile è ancora la figura per eccellenza della moda francese.
La stilista che ha plasmato una moda comoda e informale è nata in una città sulle rive della Loira, Saumur, nel 1883, figlia di un venditore ambulante e di una giovane contadina morta all'età di 31 anni. Suo padre, Albert CHANEL, la lasciò insieme alle sue sorelle in un orfanotrofio. Nel convento imparò l'arte del cucito e coltivò il gusto per i tagli rigidi e per i colori bianco e nero, che segnarono il suo stile per tutta la vita. Con la maggiore età iniziò a esibirsi come cantante in un cafè, usando come pseudonimo COCO.
Senza dubbio la sua vita non sarebbe stata la stessa se non avesse incontrato l'uomo d'affari Arthur Capel, il suo amante per quasi dieci anni fino alla sua morte avvenuta a causa di un incidente d'auto nel 1919. Capel, o come lo conoscevano i suoi amici, Boy, sostenne e finanziò l'avventura imprenditoriale della designer.
Con il suo supporto, iniziò a disegnare CAPPELLI che presto divennero accessori indispensabili in ogni corsa di cavalli o evento dell'alta società francese.
Sempre grazie a lui aprì il suo primo negozio in Rue Cambon a Parigi, seguito da altri in località turistiche di lusso: Deauville e Biarritz. In quegli anni, ormai designer affermata, con più di 300 lavoratori dipendenti, diventò una figura essenziale nel panorama parigino, dove fu ammirata per la nuova silhouette che proponeva a sua immagine e somiglianza.
La figura snella, i capelli corti e l'introduzione dell'abbigliamento
sportivo confermarono il suo successo.
Oggi la "maison" che porta il suo nome continua a sfruttare tutti i recessi della sua storia personale, spesso misteriosa, e il suo cognome è un marchio conosciuto a livello internazionale anche grazie al successo dei suoi profumi e cosmetici.
< Non voglio nessun olezzo di rose o mughetto …
voglio un profumo elaborato >
CHANEL, che all'epoca aveva 38 anni, commissionò il profumo al chimico Ernest Beaux scostandosi, secondo il suo stile, dal romanticismo e dalle convenzioni dell'epoca.
La confezione era una semplice bottiglia da farmacia trasparente, in vetro pregiato o, per i clienti più importanti, in cristallo, con un' etichetta minimale bianca e nera. Seguendo la nascente tendenza ad utilizzare flaconi in stile modernista, si differenziava dalle tradizionali ed elaborate boccette di profumo riccamente decorate come quelle, all'epoca molto apprezzate, della cristalleria Baccarat e di René Lalique.
La prima bottiglietta prodotta nel 1919 era più piccola e più arrotondata rispetto a quella conosciuta oggi, la cui produzione iniziò solo nel 1924.
Al contrario il tappo nel corso degli anni è stato oggetto di numerose modifiche : dall’originale in vetro al tappo ottagonale nel 1924, più consono al nuovo design della bottiglia. Quindi più smussato e più voluminoso, poi ancora più grande, successivamente ridotto per rendere più armoniose le proporzioni dell'intera bottiglia.
Per l'etichetta fu scelto un carattere senza grazie tipico del design d'avanguardia dell'epoca, mentre il logo della casa Chanel venne stampato sul tappo del flacone fin dal 1921.
Vignetta di Sem, prima immagine nota di Chanel No. 5.
Il flacone di Chanel No. 5, nel corso degli anni, è diventato un oggetto talmente identificabile che Andy Warhol decise di commemorare il suo stato di icona a metà degli anni ottanta con l'opera pop art intitolata "Ads: Chanel", una serie di serigrafie ispirate a pubblicità del profumo apparse fra il 1954 e il 1956.
Dopo la guerra, la più grande testimonial della fragranza è stata Marilyn Monroe. Durante un'intervista nel 1952, l'attrice dichiarò:
< What do I wear in bed? Why, Chanel No. 5, of course >
< Cosa indosso a letto? Che domande... Chanel No. 5, ovviamente >
Leggenda della moda internazionale, Pierre CARDIN è
stato il primo stilista a creare il prêt-à-porter nel 1959.
< Je n’ai pas besoin de paraitre, je suis >
A 97 anni <lavoro ancora tutti i giorni, è la mia ragione d'essere e di esistere. Il mio progetto è continuare a vivere, voglio passare i 100 e ricominciare >.
Tra i più importanti couturier della seconda metà del Novecento, Pierre CARDIN è morto il 29 dicembre 2020 a 98 anni in un ospedale di Nuilly, vicino a Parigi.
In realtà il cuore di Pietro Costante CARDIN, nato il 2 luglio 1922 in provincia di Treviso da una famiglia di facoltosi agricoltori, finiti in povertà dopo la prima guerra mondiale, era rimasto sempre in Italia.
Colui che ha reinventato la moda in chiave futuristica, sbarazzina, dinamica, silhouette geometriche e affilate, cromatismi vivaci e impetuosi,
dall’iconica collezione di abiti senza colletto per i Beatles ai vestiti flamboyant di Jacqueline Kennedy,
ha sempre vissuto in chiave mitologica di sé stesso fin dagli anni cinquanta.
Un po’ per quel gioco divistico che serve a impreziosire la propria immagine, un po’ per quella altezzosa raffinatezza che fanno “personaggio” da alta società alla francese, CARDIN, all’inizio degli anni sessanta, ha rappresentato la decostruzione della norma in fatto di taglio di un abito, di forma, di linee. Una vulgata unisex, spaziale, spigolosa a allo stesso tempo ariosa, come mai era accaduto, finendo per vestire star del cinema dentro e fuori dal set.
Pietro Costante CARDIN si trovò trasferito in Francia che nemmeno aveva due anni. Papà e mamma a cercar fortuna e lui a 14 anni già con ago e filo per affermarsi da sarto creativo e istintivo.
Nel 1945 è a Parigi : lavora fugacemente per Elsa SCHIAPPARELLI , poi nel ’47 BALENCIAGA lo rifiuta e Christian DIOR lo fa diventare primo sarto della sua neonata maison.
Nel ‘50 fonda la sua casa di moda, cimentandosi con l'alta moda nel '53.
CARDIN diviene celebre per il suo stile futurista, ispirato
alle prime imprese dell'uomo nello spazio.
Preferisce tagli geometrici spesso ignorando le forme femminili.
Ama lo stile unisex e la sperimentazione di linee nuove.
Nel ‘54 introduce il bubble dress, l'abito a bolle.
Le 144 rose che Christian DIOR invia nel ’54 a Pierre CARDIN dopo la sua prima sfilata sono l’unico apostrofo rosso in un portamento signorilmente mai oltre il blu elettrico.
Nel '59 è il primo stilista ad aprire in Giappone un negozio d'alta moda.
Nei primi anni sessanta è già un Dio della moda.
È l’epoca dello “space age look”. I suoi abiti finiscono addosso a Elizabeth Taylor, Joanne Woodward, Brigitte Bardot, Mia Farrow. Inondano il cinema e la tv .
CARDIN veste donne e uomini : linea cangiante, miscela esplosiva, un unicum estetico di eleganza geometrica dal tratto marcato.
Dal 1965, cioè nemmeno dieci anni dopo la sua prima sfilata, le sue modelle sono già un florilegio indistinto multicolored (l’ultima è Naomi Campbell, per dire) segno di una società che cambia e che necessita di una moda che traduca gonna e giacca, abito lungo e exploit serale.
Gay dichiarato, Pierre CARDIN vive una clamorosa relazione etero con Jeanne Moreau, anche se rimarrà legato profondamente al suo assistente personale André Olivier.
< Amo la virilità in un uomo e la femminilità in una donna, come con l'acqua e il vino, non mi piace mischiare > dice nel docu-film House of Cardin.
Nel 1969 è l’unico uomo “comune” al mondo ad indossare la tuta degli astronauti che sbarcarono sulla luna. Nel 1974 è uomo dell’anno in copertina sul Time, primo stilista della storia, e prima che ci finisca la nuova ondata di colleghi italiani che conquisterà il mondo.
CARDIN aveva ritrovato le sue radici italiane anche con l'acquisto del palazzo Ca' Bragadin a Venezia dove risiedeva durante i suoi frequenti soggiorni nella città lagunare.
Negli anni '90 aveva acquistato in Costa Azzurra il Palais Bulles (Il palazzo delle bolle) progettato dall'eccentrico architetto Antti Lovag. Tutto, dal pavimento al soffitto, era riempito da forme sferiche. Con il suo anfiteatro da 500 posti a sedere e le piscine con vista sul Mar Mediterraneo era spesso luogo di feste ed eventi. L'interno era arredato con pezzi di design, le Sculptures utilitaires disegnate dallo stesso Cardin, che dal 1977 ha dato vita ad una collezione di mobili eleganti dalle forme sinuose.
ROMA, 2 febbraio 2018 - I miniabiti anni '50 con il seno segnato, le forme geometriche, d'avanguardia, quasi spaziali. E poi il trionfo del colore, che scambia le gambe dei pantaloni e contagia anche i completi maschili.
Sfilata d'eccezione per Pierre CARDIN in occasione del debutto al Sistina di “Dorian Gray - La bellezza non ha pietà”.
Il musical prodotto insieme al nipote e stretto collaboratore Rodrigo Basilicati ha portato in palcoscenico una galleria dei suoi abiti più iconici di 70 anni di carriera. Una sfilata curata dalla sua mannequine storica Maryse Gaspard che incarna le parole del suo credo:
< Prima la forma, poi il colore, quindi la linea >
Ecco allora l'amore per l'avanguardia, per l'era spaziale, per le bolle del 'bubble dress', la scoperta dell'Oriente, le sete morbidissime, i volant e le rouches protagonisti, le spose.
Fino alle ultime collezioni con gli abiti da sera dove i cerchi diventano grandi polsi dorati o volume sulla vita.
NEW YORK 2019 – “Future Fashion” al Brooklyn Museum :
la prima grande retrospettiva newyorkese dedicata a Pierre CARDIN ,
uno degli stilisti e designer più innovativi del Novecento, grazie soprattutto al lavoro fatto negli anni '60 con le sue futuristiche creazioni.
Un percorso che racconta la carriera di Cardin dagli anni Cinquanta ad oggi,
con abiti di haute couture e prêt-à-porter.
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