La STORIA DEI GUANTI si perde nella notte dei tempi ed in
particolare nella mitologia:
leggenda narra infatti che “la dea Venere, correndo in un bosco del monte Olimpo, cadde posando le mani su di un cespuglio di rovi, e se le graffiò malamente. Le Grazie allora cucirono delle sottilissime bende attorno alle sue dita e ai suoi palmi, affinché v’aderissero alla perfezione.” Così, secondo la leggenda, nacquero i guanti, ma in realtà già Omero nell’Odissea e Marco Terenzio Varrone nel De re rustica testimoniano l’uso dei guanti in età antica per ripararsi dal freddo o per svolgere lavori manuali.
Per gli antichi egizi, invece, i GUANTI erano un importante simbolo
di prestigio e avevano soprattutto valenza simbolica e liturgica:
nella tomba di Tuthankamon scoperta da Howard Carter nel 1922, fu rinvenuto un paio di guanti.
La statua in bronzo del “Pugile delle Terme” - Pugile in Riposo o Pugile del Quirinale - è probabilmente la statua esposta a Roma più conosciuta e apprezzata dai turisti statunitensi, soprattutto quelli provenienti da New York e da Los Angeles, dove è stata ospitata per quattro anni con grande clamore mediatico.
La statua si trova a Palazzo Massimo, Museo Nazionale Romano in piazza dei Cinquecento alla sinistra dell’uscita della Stazione Termini. Fu rinvenuta nel febbraio del 1885 assieme a quella del “Principe ellenistico” su un versante del Quirinale, uno dei sette coli di Roma, alle spalle della chiesa e del relativo convento di San Silvestro in occasione della costruzione del Teatro Drammatico Nazionale in via Nazionale (fabbricato demolito nel 1929).
Le due statue in bronzo, probabilmente, facevano parte dei decori delle Terme di Costantino ma c’è una particolarità che colpì gli archeologi dell’epoca e che caratterizza tuttora la vicenda storica del Pugile: la statua, ritrovata tra il secondo e il terzo muro di fondazione dell’antico edificio, era alla profondità di 6 metri sotto il livello della piattaforma. Tutta intorno la terra era smossa e setacciata. La figura era sistemata con cura, seduta su un capitello di pietra. Insomma, non era finita sotto terra per caso ma c’era stata collocata dagli antichi romani perché sfuggisse alle razzie delle invasioni barbariche.
“Le circostanze dello spettacolare ritrovamento apparvero da subito riconducibili ad un occultamento intenzionale tuttavia restano ancora oggi aperti gli interrogativi sull’originaria collocazione a Roma delle due sculture greche e sulle motivazioni che ne hanno determinato il seppellimento” scrive delle due opere d’arte il Ministero dei Beni e delle Attività culturali.
Di grande fascino la statua del “Pugile in Riposo” - testimonianza storica dell’arte della boxe. Il boxeur è seduto, colto probabilmente in un momento di riposo dopo un durissimo incontro. Le sue mani sono protette da quelli che erano i GUANTONI dell’epoca, i cesti (dal latino: caestus), introdotti nella pratica pugilistica dal IV secolo a.C. Le protezioni erano realizzate con fasce di cuoio tenute insieme da borchie metalliche: quattro dita erano infilate in un pesante anello ed il pollice restava libero.
Le braccia del pugile sono appoggiate sulle gambe e lo scatto della testa che si volta verso destra conferisce dinamismo realistico all’opera. Il dettaglio degli inserti in rame, sulla spalla destra, sull’avambraccio, sui guanti e sulla coscia, a rappresentare gocce di sangue colate dalle ferite nell’atto del volgersi della testa, sono la testimonianza di un artista attento al realismo dell’azione.
Si tratta di un uomo maturo, con barba e pettinatura curate, che presenta i segni del tempo e dei numerosi incontri passati: il naso con il setto nasale fratturato ne è un segno emblematico così come le tumefazioni sulle orecchie, note anche come orecchie a cavolfiore.
La realizzazione della statua è stata attribuita allo scultore greco Lisippo o ad allievi della sua scuola. La datazione è intorno al IV secolo a.C.
Per le popolazioni del nord i GUANTI ebbero chiaramente la
funzione di protezione dalle rigide temperature.
I barbari ad esempio, usavano guanti a manopola in pelle la cui realizzazione era difficile al punto da scatenare frequenti lotte per l’accaparramento degli indumenti. Successivamente alle invasioni barbariche, la tradizione dei guanti fu trasmessa agli europei.
È solo a partire dal IV sec. d.C. che il GUANTO perse la sua funzione
di protezione dal freddo per assurgere il simbolo d’eleganza e
potenza.
Nel Medioevo i GUANTI si arricchiscono di pietre preziose e vengono realizzati in velluto e tempestati di gemme, mentre i cavalieri li avevano in maglia d’acciaio, per poter sollevare le pesantissime spade durante i combattimenti. In quel periodo un decreto proibiva alle donne di indossare i guanti, potevano essere indossati solo dagli uomini perché rappresentavano un simbolo dell’autorità maschile.
Le cerimonie d’investitura dei feudatari prevedevano appunto, la donazione di un paio di guanti da parte dell’imperatore.
Solamente nel IX sec. le donne poterono indossare i guanti e ne fecero degli oggetti lussuosi e meramente decorativi realizzati con tessuti preziosi, ricami, bottoni e gemme. Il mercato dei guanti fu gestito soprattutto dagli artigiani francesi e italiani che facevano a gara a chi riuscisse a fabbricarne di più originali: ad esempio fu molto di moda ricamare sui dorsi, con fili d’oro e d’argento, gli stemmi di famiglia.
Tra i guanti in assoluto più preziosi spiccarono quelli veneziani, che furoreggiarono nel sec. XIII e venivano confezionati in stoffe rarissime e coperti di pietre provenienti dai mercati d’Oriente con cui la Serenissima intratteneva rapporti commerciali.
Fu proprio in quel periodo che il guanto divenne anche un simbolico strumento di sfida a duello, lanciato o sbattuto sprezzantemente sul volto dell’avversario.
I guanti italiani, considerati più raffinati, profumati, intagliati, diventarono di uso sempre più frequente e furono sempre più famosi all’estero, si iniziò a profumare i guanti durante la concia affinché rimanesse inalterato il profumo nel tempo e si iniziò anche a fabbricare guanti “avvelenati”. Illuminante in tal senso il testo “Il profumo” di Patrick Süskind.
Durante il Rinascimento si usavano guanti dorati con fenditure per gli anelli.
IL GUANTO nell’ARTE
Il valore simbolico dei guanti è da sempre così tanto imponente da essere spesso celebrato anche nel mondo dell’arte dai più grandi artisti come simbolo di nobiltà e ricchezza, tanto da apparire in moltissimi ritratti indossato da uomini illustri e da elegantissime dame.
Durante il Rinascimento nobili e dame di corte venivano effigiati con abiti sontuosi per rappresentare il loro status sociale; era fondamentale far comprendere allo spettatore l’appartenenza ad un determinato rango.
Ritratto di gentiluomo anziano coi guanti di Lorenzo LOTTO databile al 1543 circa e conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano.
TIZIANO Vecellio, uno dei più noti artisti del Cinquecento, si è dedicato durante la sua lunghissima carriera a ritrarre ricchi e regali committenti. Attraverso la sua abile pennellata ha catturato non solo la profondità psicologica dei suoi protagonisti ma ha saputo rendere la bellezza delle stoffe e degli abiti. I personaggi ritratti fanno spesso sfoggio di armi, lettere, anelli e guanti. Oggetti allegorici ed essenziali, fondamentali per una lettura approfondita dell’opera.
Ritratto di giovane - dipinto a olio su tela (111x84 cm) di TIZIANO, databile al 1515 circa e conservato nella National Gallery di Londra. L'opera è nota da quando era nelle collezioni di Edward Wood a Temple Newsman, arrivando in seguito a quelle del conte di Halifax.
Uomo dal guanto - dipinto a olio su tela (100x89 cm) di TIZIANO, databile al 1523 circa e conservato nel Louvre a Parigi. L'opera proviene dalle gallerie Gonzaga a Mantova, passando nel 1627 a Carlo I d'Inghilterra con i pezzi più pregiati.
Il guanto si distingue per la differenza di colore rispetto all’abito ed è mostrato con grandissima eleganza. L’importanza dell’uomo è attestata dai pochi gioielli indossati e dal guanto infilato solo in una mano.
Albrecht DURER realizzò nel 1498 il proprio "Autoritratto con guanti".
Non è insolito ammirare artisti in posa con gli strumenti da lavoro o raffigurati da semplici borghesi. Il pittore tedesco in quest’opera si distingue per grazia e cura nei particolari: dalla fitta acconciatura agli abiti eleganti. I candidi guanti da lui indossati definiscono maggiormente la sua volontà ad essere ritratto come uomo colto e ricercato. Probabilmente un riferimento a come in Italia all’epoca, a differenza dei Paesi del Nord, l’artista ricoprisse una posizione sociale più elevata.
Ludolf LEENDERTSZ de JONGH - Portrait of Jan van Nes (1666). Amsterdam,Rijksmuseum
Con i secoli i ritratti cambiano stile, risultato di nuovi e differenti periodi storici. I guanti continuano a simboleggiare il prestigio di un’aristocrazia ancora interprete nell’arte.
Nel XIX secolo, i GUANTI rappresentano sempre di più l’ideale di distinzione femminile, si userà regalarli ed offrirli in una scatoletta di raso cosparsa di un soave profumo di violette.
Interessante le indicazioni del “Corriere delle Dame” in proposito: “ una signora, più o meno ben guantata indica la delicatezza del proprio gusto, delle proprie abitudini, tanto più che la moda dei braccialetti richiama lo sguardo verso la mano. I guanti per conseguenza devono essere freschissimi e rigorosamente in tonalità tenui come il rosa pallido, verde chiaro, violetta di Parma, ortensia >
Nella Belle Epoque i GUANTI furono più che mai un accessorio indispensabile perché dovevano proteggere le mani delle donne che non dovevano mai apparire screpolate. La morbidezza delle mani equivaleva infatti alle buone maniere e ad un’educazione elevata.
L’Ottocento italiano viene rappresentato con abile maestria da Giovanni BOLDINI, che fu sempre affascinato dagli eleganti salotti dell’alta borghesia e dalla nobiltà del tempo. Il pittore del bel mondo dipinge donne raffinate, flessuose, seducenti ed ammalianti che sfoggiano abiti elegantissimi e lunghi guanti, così come dettava la moda del periodo.
I guanti gialli (1885)
Ritratto della Marchesa Casati con levriero La Senna (1895)
Ritratto della Signora in bianco con guanti e ventaglio (1889)
In Francia, nello stesso periodo Henri de TOULOUSE-LAUTREC dipingeva
“La donna con i guanti”, un ritratto che appartiene agli “studi” che l’artista effettuava all’aperto, nel giardino del padre Forest a Montmartre, nel periodo 1888-1891.
La giovane donna rappresentata guarda altrove, come se fosse ritratta a sua insaputa, l’immagine nell’insieme è elegantissima: un profilo che appare da dietro una veletta, la mantella con colletto e la mano guantata che tiene un ombrellino, un insieme di elementi che sembrano raccontare la personalità della donna dipinta.
Donna con i guanti – Il dipinto a olio su cartone realizzato nel 1890 dall’impressionante potere narrativo unito ad una principale componente psicologica ritrae la modella Honorine Platzer nel giardino della casa paterna dei Lautrec a Montmartre.
Attualmente custodito nelle sale del Musée d’Orsay, l’ex stazione parigina, l’opera testimonia l’allontanamento dalla visione impressionista incentrata all’estremo riguardo per la mutevolezza che convive con il reale, fotograficamente catturabile nei suoi sfocati contorni, per convergere verso il fulcro della personalità, verso l’anima delle modelle ritratte.
La signora con il guanto - Carolus-Duran (1837-1917)
Cantante di Caffè-Concerto con guanto (1878) – Edgar DEGAS
Pastello e tempera su tela cm. 53 x 41 cm. - Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum.
La serie di stampe Ein Handschuh - ”Un guanto” - di Max KLINGER è una delle prime rappresentazioni del sogno nella storia dell'arte e sarà destinata a influenzare l'arte del Novecento.
Klinger la pubblicò in prima edizione nel 1881 per i tipi di Friedrich Felsing a Monaco di Baviera, ma l’ideazione risale all’anno precedente, e le prime prove a penna sono ancora precedenti, dal momento che furono create nel 1878 (da un Klinger appena ventunenne) ed esposte lo stesso anno a Berlino.
Dalla seconda edizione l’artista volle però cambiare il titolo, e la serie diventò così
Paraphrase Uber den Fund eines Handschuhs -“Parafrasi sul
ritrovamento di un guanto”.
La serie, fin dalla sua prima esposizione nel 1878, ottenne un grande successo.
Protagonista della vicenda, raccontata in dieci incisioni, è lo stesso Max Klinger:
“Un guanto” è una sorta di fantastico racconto autobiografico che prende avvio da una pista di pattinaggio dove il pittore si sta recando.
Nella prima incisione, intitolata Ort (“Luogo”) l’artista si autoritrae in compagnia dell’amico Hermann Prell: è l’uomo in piedi a sinistra, con barba e cappotto scuro. Klinger comincia a pattinare sulla pista, quando una donna, davanti a lui, perde un guanto: l’artista si china per raccoglierlo, perdendo il cappello (seconda incisione: Handlung, “Azione”).
Tavola 1: Ort (“Luogo”)
Tavola 2: Handlung (“Azione”)
Da questo momento il guanto, che il pittore evidentemente non riesce a riconsegnare alla signora, si trasforma in una sorta di feticcio che guida Klinger in un allucinato viaggio tra sogni e incubi (terza incisione: Wünsche, “Desideri”): vediamo la scena d’una tempesta, con una barca che tenta di solcare il mare agitato nel tentativo di recuperare il guanto tra le onde (quarta incisione: Rettung, “Salvataggio”), subito seguita dalla scena del guanto che, da solo, guida un cocchio che procede sulla riva d’un mare adesso calmo e illuminato dal sole (quinta incisione: Triumph, “Trionfo”), un mare che, peraltro, addirittura arriva a riverire il guanto (sesta incisione: Huldigung, “Omaggio”).
Tavola 3: Wünsche (“Desideri”) Tavola 4: Rettung (“Salvataggio”)
Tavola 5: Triumph (“Trionfo”)
Tavola 6: Huldigung (“Omaggio”)
Nel frattempo, il pittore ancora si dibatte tra gli incubi, con strane creature che lo tormentano mentre dorme e il mare che arriva a lambire il letto nella sua camera (settima incisione: Ängste, “Paure”). Ora però il guanto è apparentemente al sicuro, su di un piedistallo, attorniato da diversi altri guanti (ottava incisione: Ruhe, “Quiete”), ma la pace è destinata a durar poco, perché in breve tempo sopraggiunge un mostruoso uccello che ruba il guanto (nona incisione: Entführung, “Ratto”). La visione si conclude con il dio Amore che osserva il guanto che giace su di una superficie piana (decima incisione: Amor).
Tavola 7: Ängste (“Paure”)
Tavola 8: Ruhe (“Quiete”)
Tavola 9: Entführung (“Ratto”)
Tavola 10: Amor
La serie è una potente e visionaria narrazione che parla all’osservatore di desiderio e di perdita: il guanto, da feticcio, diventa un oggetto animato, dotato di vita propria, che causa tormento al pittore. Quell’oggetto così comune che lo attrae e lo soggioga allo stesso tempo diventa pertanto una specie di allegoria amorosa.
Nel Trionfo si può leggere un richiamo a Venere : ilcarro che trasporta il guanto ha la forma d’una conchiglia … secondo la mitologia greca, la dea dell’amore nacque proprio da una conchiglia.
La storia è ricca di sublimazioni erotiche e di elementi che
anticipano la psicanalisi.
Gli storici dell’arte John Kirk Train Varnedoe ed Elizabeth Streicher hanno scritto che "Un guanto” è un’opera di straordinaria modernità: in particolare, la serie “anticipa di diversi anni gli studi di Freud e di Krafft-Ebing sulle patologie sessuali e sulle perversioni [...]. Il guanto stesso sembra vistosamente freudiano, dal momento che è contemporaneamente fallico (nelle dita) e vaginale (per il fatto che è un oggetto che copre, e ancor più perché sul dorso presenta fessure aperte)”.
Tra i più entusiasti ammiratori della serie dedicata al guanto, vi fu uno dei più grandi artisti italiani del primo Novecento, Giorgio DE CHIRICO (Volos, 1888 - Roma, 1978), che le riservò parole d’elogio in uno scritto intitolato Max Klinger, composto nel 1920: “Nella serie di acqueforti che s’intitola: Parafrasi sul ritrovamento d’un guanto, Klinger al senso romantico-moderno aggiunge una fantasia di sognatore e di narratore, tenebrosa e infinitamente malinconica. Questa serie è un pezzo autobiografico, il racconto d’un episodio della sua vita“.
DESIDERI & PAURE
L’attenzione di DE CHIRICO è focalizzata soprattutto sulle tavole Wünsche e Ängste, peraltro le uniche due cui Klinger dà un titolo al plurale. E’ molto probabile, come annota il critico Adriano Altamira , che ciò sia il riflesso dell’interesse per il tema della stanza che s’apre all’esterno, che diverrà proprio dell’arte dechirichiana. Chirico stesso.
Giorgio De Chirico - Interno metafisico - 1926
Altamira s’inserisce inoltre nel solco di quanti ritengono che le stesse suggestioni possano essere giunte a Max ERNST (Brühl, 1891 - Parigi, 1976), che le avrebbe rielaborate per la scena della cantina presente nel film Dreams That Money Can Buy, una serie di sequenze oniriche ideate da diversi artisti surrealisti .
Max Ernst, Les hommes n’en sauront rien (1923; olio su tela, 80,3 x 63,8 cm; Londra, Tate Modern)
Max Ernst, L’éléphant Célèbes (1921; olio su tela, 125,4 x 107,9 cm; Londra, Tate Modern)
È stato del resto rilevato come il surrealismo abbia diversi debiti nei confronti delle visioni fantastiche di KLINGER: la sua capacità di dare una forma ai sogni non poteva non esercitare un certo fascino. Anche perché le ricerche di Klinger, in tal senso, erano pionieristiche: pochi artisti prima di lui avevano deciso di rendere visibili le visioni oniriche (Grandville nel 1844 con Un autre monde, oppure Odilon Redon nel 1879 con Dans le rêve).
Giorgio DE CHIRICO apprezzava di Klinger la sua capacità d’essere interprete allo stesso tempo del “senso mitico-ellenico” e del “senso romantico-moderno”.
Per quanto fantastiche fossero le sue visioni, Klinger si basava comunque “sul fondamento d’una chiara realtà, potentemente sentita”, sottolineava De Chirico, che gli consentiva d’evitare d’errare in “delirii e vaneggiamenti oscuri”.
KLINGER spiazza l’osservatore con associazioni da contesti diversi, anticipando per certi versi anche Duchamp.
Le esperienze delle avanguardie artistiche cominciarono ad esaurirsi alle soglie della prima guerra mondiale. Uno degli artisti italiani che propose una nuova poetica per ripartire con rinnovato entusiasmo fu Giorgio DE CHIRICO. L’artista, in contrasto con le idee dei futuristi, riabilitò la tradizione classica e il valore delle opere custodite nei musei. Riprese ad utilizzare la prospettiva geometrica per costruire lo spazio e, infine, creò figure immobili e senza tempo.
Il GUANTO protagonista nei dipinti di DE CHIRICO
In virtù della sua capacità evocativa (un guanto è un oggetto che appartiene a qualcuno, è un oggetto che s’indossa, è un oggetto che copre), il guanto diviene una sorta d’autoritratto metafisico dell’artista (o un “autoritratto assente”, per utilizzare l’efficace espressione di Altamira).
Giorgio De Chirico, I progetti della fanciulla (1915; olio su tela, 47,5 x 40,3 cm; New York, MoMA)
Il GUANTO è appeso a un muro di fronte a una serie d’oggetti e accanto a una riproduzione del Castello Estense di Ferrara (che assieme a Torino è per De Chirico la città metafisica per eccellenza: la compresenza d’antico e moderno, la sua storia esoterica, la sua tradizione alchemica)
Giorgio De Chirico, Canto d’amore (1914; olio su tela, 73 x 59,1 cm; New York, MoMA)
Un enorme GUANTO DI PLASTICA è appeso a un muro vicino a una testa dell’
Apollo del Belvedere. Dietro allo spazio metafisico della piazza transita un
treno a vapore.
In riferimento all’interpretazione della Fondazione De Chirico il GUANTO DELLA LEVATRICE è la forza del destino che ha portato l’artista sulla terra, inchiodandolo in un punto vuoto del tempo e dello spazio (questo il senso del chiodo vuoto). Il destino che lo ha portato a Parigi per intonare con la sua arte il suo canto d’amore per la vita e la bellezza. Questa la contro-logica della rappresentazione, che è la logica dell’artista metafisico. Magritte, quando ha visto questo quadro in una rivista d’arte, ha pianto dicendo di aver visto rappresentato il pensiero.
Il fratello di Giorgio De Chirico, Alberto SAVINIO (Atene, 1891 - Roma, 1952),
nell’Orazione sul tetto della casa del suo Ermafrodito descrisse una
scena ch’è stata spesso accostata al "Canto d’amore” per tentare
d’interpretarne il significato:
< poco fa, come fui rientrato nella camera venduta, mi tolsi un guanto e l’inchiodai alla parete. Il guanto penzoloni conserva la forma della mano vuota: io guardo in quel cadavere di mano il mio destino, che non è più che una cotenna sgonfia >
Marc Chagall ritratto (1915 circa) da Yehuda PEN
Marc CHAGALL - Doppio ritratto con un bicchiere di vino (1917-1918)
CHAGALL iniziò a dipingere "Il guanto nero" nel 1923 ma terminò l’opera solo nel ’48. Emerge una serie concatenata di immagini interiori: la scomparsa di Bella, la consapevolezza della sua perdita e la certezza che lei vivrà per sempre vicino a lui. Oltre il tempo (orologio sulla destra), oltre i canti allegri di ieri (gallo alato rosso vicino a Chagall, simbolo della Resurrezione), sopra Vitebsk coi suoi tetti blu nella neve, oltre Parigi con i suoi colori vispi (tela in basso a destra).
Il guanto nero rimanda a Bella che chiude il suo libro (Come fiamma che brucia) mentre la sua anima vola via, superando l’omino in basso a sinistra che le porge per l’ultima volta dei fiori e dicendo addio al suo Chagall, che la cinge per serbarla per sempre nella sua memoria, al riparo dalle assenti ore a venire.
Chagall, Il guanto nero (1923-48)
Nel 1924 CHAGALL dipinge il “Doppio ritratto” in cui appaiono lui e la moglie con un mazzo di fiori tra le mani: l’intimità dei ritratti precedenti è superata da un più evidente rapporto con la realtà esterna del mondo, nel dinamismo dei corpi e nella modernità dello stile. La composizione rispecchia infatti il clima culturale degli anni Venti, anche nell’abito e negli accessori di Bella.
Chagall, Bella con i guanti neri in Doppio ritratto
Con il Futurismo linee più spezzate, fuggenti e veloci si affacciano nel panorama mondiale dell’arte: sono le opere di Marinetti, Boccioni, Carrà e Tamara de Lempicka.
Il connubio ARTE e MODA rimane però prepotente soprattutto nelle opere della De LEMPICKA che richiamano la modernità e la velocità dell’estetica Futurista e celebrano la ruggente società degli anni 20: simbolico in tal senso il più famoso “Autoritratto sulla Bugatti verde” del 1929 dove la pittrice si raffigurò in caschetto e guanti di daino alla guida di una Bugatti rivendicando un ruolo che fino ad allora era stato solo maschile.
Tamara De LEMPICKA - Autoritratto sulla Bugatti verde
La pittrice icona dell’Art Decò fu affascinata dagli uomini e dalle donne di potere. L’artista costruisce con cura la sua immagine di donna elegante e sofisticata, ne è un mirabile esempio il suo autoritratto, divenendo una tra le personalità più originali e carismatiche del periodo.
Tamara De LEMPICKA - Ragazza in verde (1930)
I GUANTI continuano ad avere un importante ruolo nel completare il look fino alla prima metà del XX secolo; di questo periodo sono le elegantissime creazioni di Hermés, Elsa Schiaparelli, Christian Dior e molti altri stilisti.
Con la contestazione del 1968 divennero un simbolo borghese e furono quindi abbandonati. Solo negli ultimi anni si sta assistendo ad una rinnovata ricerca dell’eleganza e quindi ad un ritorno di questo raffinatissimo accessorio. Ad oggi i guanti sono indubbiamente di grandissima attualità e sono tornati prepotentemente di moda, e, adeguatamente lavati e disinfettati potrebbero rappresentare una valida ed elegante alternativa ai monouso di plastica.
La meravigliosa Rita Hayworth, sensuale ed elegante in una delle scene più famose di Gilda rimaste nella nostra memoria collettiva, sfilava i guanti con lentezza e femminilità.
Perché si dice “ trattare con i guanti bianchi? ”
In realtà la frase nacque in Francia ed originariamente era “trattare con i guanti gialli”, che nell’Ottocento erano considerati di grande eleganza. Il detto aveva un carattere ironico e si riferiva alla delicatezza che si doveva avere nel trattare con persone suscettibili per non accendere eventuali ire. Il passaggio ai guanti bianchi fu realizzato in virtù del colore dei guanti di maggiordomi e camerieri che indossavano guanti di stoffa di quel colore.
“INTENSITA’ / DIVERGENZE” by Barbara CARICCHI - ARTIVA
Tecnica mista : vetro – alluminio – guanti in gomma
MANICHINO by Barbara CARICCHI – ARTIVA
Rif. articolo GUANTI nella sez. Textile Art
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